01 Ottobre 2015, 11:15
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Di un vero giornalista restano le parole che ha scritto, come uno scintillio umile e onesto. Parole belle o brutte. Azzeccate o sbagliate. Urgenti o pensate. Lettere battute con ogni mezzo a raffigurare la statura dell’uomo che le pubblicò. Non a caso, gli abitanti delle redazioni non hanno né occhi, né mani, né bocca. Si riconoscono dalla firma. Di un giornalista restano anche le parole che seminò dentro di sé. E poi sbocciarono in scrittura.
Ettore Serio – redattore capo del Giornale di Sicilia fino al ’79, siciliano di mare aperto e non di scoglio, navigatore ovunque, sotto il pungolo della curiosità – era un mirabile conoscitore della cronaca e delle sue pieghe più insidiose. Raccolse un monumentale archivio di ritagli e sbuffi di carta, che adesso diventa patrimonio comune – a dieci anni dalla scomparsa del suo instancabile demiurgo – con la donazione voluta dalla famiglia e dagli amici alla Fondazione del Banco di Sicilia. Quelle parole, dunque, tornano a prendere respiro, spingeranno avanti altre parole. Donare gli archivi sempre configura un atto di altruismo. Da postumo, per la generosità con cui hai preservato. Da vivo, per l’immediatezza con cui ti separi, fisicamente, da ciò che hai costruito: come è capitato a Filippo Ceccarelli che ha regalato una sconfinata tipografia di sé alla Camera dei deputati, e c’è voluto un tir per completare l’operazione.
Le parole di un siciliano di mare aperto saranno festeggiate il sei ottobre prossimo a Palazzo Branciforte, lì, dove, alle undici, si terrà un appuntamento dal titolo che è già una gustosa esca: “Ettore Serio, una lezione di giornalismo”. Ci saranno Gianni Puglisi, Giovanni Pepi, Felice Cavallaro, Salvatore Butera, Piero Fagone, Michele Figurelli, Lucio Marcatajo, Antonio Ravidà, Riccardo Arena e Alberto Cicero.
Antonio Ravidà – pure lui cronista e siciliano di profondità – racconta qualcosa di quei documenti: “Si tratta di dieci casse con materiale notevolissimo. Ricordo che Ettore aveva una simpatica diatriba con Giampaolo Pansa su quale dei rispettivi archivi fosse il più fornito. Lì si condensa il giornalismo che abbiamo fatto noi, tanti anni fa; non di frontiera, come talvolta si dice con qualche esagerazione: di cronaca, di impegno e fatica. Ci piaceva fermare le cose, inquadrarle e spiegarle. Ettore era un grande meridionalista, una persona molto scrupolosa, un lavoratore minuzioso. Cercheremo di far rivivere, durante l’incontro, l’aria di quei tempi”.
Quell’aria era attraversata da macchine da scrivere imponenti come vascelli all’orizzonte, scarpe e suole da consumare nella caccia. Le foto non le rintracciavi su Facebook, dovevi uscire dalla redazione e disegnare la cinica tenerezza degli stratagemmi. Talvolta, se partivi alla ricerca del già noto, andavi a sbattere contro il nuovo, riportavi indietro l’America. Né mancava la crudeltà di un mestiere difficile, ma odorava di bucato appena steso.
“Sì, è vero, Ettore era molto meticoloso – racconta Piero Fagone, altro drago della vecchia guardia -. Era anche un uomo dotato di lampi d’ironia. C’è di tutto tra le carte conservate, vicende di mafia e di politica: una rarità che va riletta, in chiave storica. Era un maestro. Fu lui a scrivere il fondo del ‘Mattino’, nelle ore successive al terremoto dell’Irpinia dell’Ottanta, quando il giornale titolò con un memorabile ‘Fate presto’, per la geniale idea del suo direttore, Roberto Ciuni. Quel titolo poi si è trasformato in arte, grazie a un’opera famosa di Andy Warhol”.
Perché, prima o poi, se ti specchi nell’umile polvere della cronaca, magari finisci a tavola con la storia. E le tue parole restano davvero, crocevia dei pensieri e delle emozioni di tanti, inesauribile calligrafia di un cammino.
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01 Ottobre 2015, 11:15