Il merito al tempo di Nelli

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23 Novembre 2014, 06:00

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Quale mondo virtuoso potremmo contrapporre alle grida dei ragazzi in protesta? Gli abbiamo detto che occupare le scuole è stupido e inutile. Che le bandiere della massificazione contestataria, dietro cui si accampano sempre le retrovie dell’indolenza e del disimpegno, uccidono la bellezza, tarpano le ali che ogni studente possiede in sé e che spesso adopera male, sperperando il tesoro.

Gli abbiamo suggerito (anche) di cercare i poeti, gli altri depositari – giovinezza a parte – del marchio della meraviglia. E speriamo, dal profondo del cuore, che ogni Peter Pan quindicenne si ricongiunga alla sua ombra, che la tenga ricucita al piede, con i piedi per terra, che non diminuisca in fuoco, come accade, man mano che la saggezza avanza. Ma cosa risponderemmo ai ragazzi, a un ragazzo a caso, se lui domandasse a ciascuno di noi: “D’accordo, però voi che trincea avete costruito, cosa c’è nelle vostre retrovie? Il vostro mondo, l’universo di Capitan Uncino, cosa propone se non il bando del merito, l’esilio dei contenuti, il premio per coloro che, come il famoso Spugna, stanno nelle vicinanze del potere e non abbandonano più il cerchio magico, una volta scoperto l’ingresso?”. Pare di sentirle queste accuse, tra virgolette, e il tono in cui verrebbero pronunciate. Poco sapremmo opporre a una critica tanto radicale. I giovani vuoti, da riempire, impastati della creta del sogno. Gli adulti pieni, da svuotare, soddisfatti del mercato dei favori che amministrano.

Per esempio, è utile rammentare il caso di Nelli Scilabra, con un’avvertenza preliminare. Questo racconto non è diretto contro di lei, non è una palla di cannone sparata verso una giovane donna a cui i suoi amici riconoscono passione e impegno. Non è Nelli l’ipotetico guaio, semmai il meccanismo, il manuale di scuola che sovrintende al funzionamento del nostro ‘mondo virtuoso’ che qui si descrive in sintesi.

Chiamata a reggere un assessorato impegnativo da studentessa, in virtù della prossimità con il presidente della Regione pro tempore, non si può dire che l’assessore Scilabra abbia goduto della fortuna e del vento a favore. E’ cronaca fresca la caduta in seguito al ciclone del flop day, nell’aria mefitica, sullo sfondo, delle faide interne alla maggioranza. Subito la rassicurazione di Rosario Crocetta: “Non abbandoneremo Nelli. Non si muoverà dalla Sicilia, lei ama troppo lo scirocco”. Niente altro, eccetto lo scirocco della solidarietà da cerchio magico. Difatti, ecco pronto il recupero sotto forma di incarico nella segreteria particolare del governatore. Al conferimento mancherebbero i dettagli. Sono tutti passaggi legittimi, che illuminano un postulato originario: l’autoconservazione dell’aristocrazia al comando. Del potere con la corona in testa non si butta niente.

Ecco perché un liceale con la sua inutile bandiera potrebbe rinfacciarci una reciproca inutilità. La protesta è acqua che scorre senza lasciare traccia, senza approfondire il solco. Il potere è un pezzo impenetrabile di materia, una stanza chiusa senza la carità di una intermittente areazione. Qui lasciamo subito la ragazza Nelli e l’ex assessore Scilabra, per tentare di raggiungere il nucleo del problema. Che si enuncia essenzialmente con poche parole, quasi uno slogan: il massimo peso delle relazioni di casta, rispetto all’impalpabilità delle relazioni basate sul merito.

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Puoi chiamarti Dante Alighieri e avere scritto la Divina Commedia. Potresti presentarti col tuo incartamento di inferno, purgatorio e paradiso, alla porta di un massasantissima della politica, per un finanziamento, affinché venga pubblicato. Il boss nemmeno sfoglierebbe l’opera. Si premurerebbe di accertare il contesto, con la domanda implicita o implicita: “Tu a chi appartieni?”. Sulla base della risposta, deciderebbe.

La crisi materiale della Sicilia è soprattutto declino morale, mortificazione dell’eccellenza a vantaggio della consanguineità variamente declinata. Sei un grandissimo scrittore? Hai scoperto il vaccino per curare le emorroidi? Sai dipingere Monna Lisa a occhi chiusi con un braccio legato dietro la schiena? Non importa. E’ importante l’appartenenza – “tu a chi appartieni?” – che genera la conservazione, l’auto-riproduzione del privilegio, il lancio della ciambella di salvataggio. Il resto è silenzio.

Per un plotone di ragazzini che ingrossa cortei irrilevanti e smarrisce il filo del discorso che ‘appartiene’ sempre all’impegno individuale, matto e disperatissimo (l’unica forma di rivoluzione possibile), c’è una associazione di grandicelli che occupa i posti disponibili, distribuendo prebende e incarichi indefettibili, secondo la legge delle contrade del Palio, finché gli adepti rimangono in sella al cavallo giusto. Nessuno è immune. Tutti, almeno una volta, ci siamo fatti avanti “in quanto io sono il cugino dello zio della cameriera dell’onorevole”. Tutti pratichiamo la logica perversa che innalza a criterio di selezione il passaggio sotto le forche caudine, negando la sfolgorante e libera affermazione di anime ribelli, non familiari che si sono fatte in proprio (esistono, ce ne sono moltissime, dannate all’oblio: per un caso fortuito, talvolta, arrivano).

Tutti accettiamo passivamente la reiterazione di un sistema che salva gli amici e affonda gli ignoti, sperando di non subire la gogna degli esclusi. Tutti cerchiamo una relazione di prossimità col potere disponibile, per garantirci un percorso di sussistenza. Anche le formiche, nel loro piccolo, si adeguano, smettendo i panni poco redditizi dell’incazzatura. E quando rimproveriamo la giovinezza che occupa le scuole, abbiamo ragione in teoria, non nella prassi. Siamo cattivissimi maestri. Un uncino c’è nel nostro cuore, lì dove una volta c’era il posto delle ali.

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23 Novembre 2014, 06:00

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