25 Dicembre 2020, 07:01
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CATANIA. Lo dico subito. Compito ingrato quello del cronista costretto a trascrivere le parole di un istrione come Gino Astorina.
Sta tutto nelle cadenza delle frasi, nella parola in dialetto piazzata là dov’è giusto che debba essere: non c’è mai niente fuoriposto.
Trascrivere e trasmettere un atteggiamento è lavoro impossibile.
Ci proviamo.
Chi ha imparato ad apprezzarlo, sa che è il palcoscenico il luogo elettivo di Gino Astorina. Il consenso delle sue apparizioni in tv e dei film non hanno fatto che accrescere quell’impronta originaria di un uomo che ama il contatto con la gente, perché cerca soprattutto le persone come testimoni e spettatori della sua poliedrica venatura artistica.
La sua innata e coinvolgente spudoratezza è quasi l’anima di una città che prova a resistere, combattere ed uscire da questa maledetta pandemia.
Gino Astorina è un talento indiscusso. Di quelli che hanno fatto una dura gavetta. Con quella maschera, quel suo esserci sempre prevedendo un istante prima di tutti quale debba essere la battuta capace di coinvolgere ed accogliere ognuno di noi: quasi un santo patrono in ombra con quella smorfia dal sorriso disincantato.
Come vive questo momento, Gino Astorina?
“Non benissimo ma mi sforzo di essere ottimista. Soprattutto mi sforzo di non utilizzare quella parola “positivi” che ha cambiato totalmente significato.
Cerco di vivere nella maniera più ottimistica possibile.
Abbattersi non risolve niente ed è come se qualcuno dovesse risolvere le cose al posto nostro”.
E’ già un bel messaggio, quello di dover reagire.
“Guarda, l’unica cosa che desidero è che non si faccia terrorismo e che si abbiano le idee chiare.
Quando si fanno vedere le nostre strade pienissime di persone e le file nei negozi, beh, in un certo senso è come se il padre di famiglia ci dice “O papà non ti preoccupare, esci senza problemi” e poi ci dice “Ma picchi sta’ niscennu?”.
Tutto questo ci fa sbandare e non ci fa capire più niente”.
Le tante contraddizioni di questo periodo.
“Certo! Ci viene detto di comprare nei negozi, poi però ci dicono: “Ma perchè state facendo acquisti?”.
Qua oltre al Comitato tecnico-scientifico dovrebbero interrogare anche qualche matematico: non voglio a fare polemica ma se chiudi un’uscita e ne lasci aperte tante altre è chiaro che viene generata confusione e la gente non ci capisce più niente”.
Visto che sei un artista che…
“Sono un artista scarso (ride, ndr)”
Ovviamente, non esiste una sola persona che pensa che tu sia un artista scarso per cui ti chiedo: tanti cercano in un artista come te quella leggerezza che serve ad affrontare momenti difficili.
Ma immagino che, tante volte, anche uno come te è aggredito inevitabilmente dalla dura realtà del nostro periodo.
“Tocchi un argomento che per tanto tempo mi ha tenuto prigioniero dello scrivere o del proporre qualcosa.
Vi racconto una cosa.
Durante il lockdown mi mettevo di getto a scrivere qualcosa ma mi veniva sempre a mancare quella satira e quella liscìa che caratterizza tante delle cose che faccio per poter trasmettere qualcosa alle persone.
Tutti gli scritti erano diventati intrisi di malinconia e di paura.
E, allora, mi sono fermato. Poi, però, ho detto che avrei dovuto riprendere a fare quello che ho sempre fatto per potere essere più leggero.
E non fare battute perché non mi riferisco al mio peso!”.
Non lo farei mai: sei tra l’altro in piena forma.
Ma questo tuo atteggiamento era quasi un non volersi sentire, magari, fuori contesto in un momento come quello che stiamo vivendo?
“Mi sono sempre chiesto se non correvo il rischio di urtare la sensibilità di chi è stato toccato direttamente dalla pandemia: da chi ha un negozio a chi ha visto un propio caro coinvolto in qualcosa di spiacevole o gli stessi adolescenti ai quali stiamo rubando il valore della socialità e dell’aggregazione.
Però, mi sono anche interrogato sul fatto che durante la guerra i cinema erano aperti; durante la guerra le Compagnie teatrali cambiavano repertorio perché c’era bisogno di leggerezza.
La gente ha bisogno di leggerezza anche leggendo un tuo articolo o guardando un video.
Non qualcosa di stupido, attenzione: ma qualcosa che ci faccia resettare per un istante.
Per questo, ho ripreso a fare quello che spero si saper fare meglio: io quello che so fare è regalare sorrisi”.
Come credi stia reagendo Catania?
“Voglio essere sincero: mi aspettavo situazioni di spocchia o che fossero davvero al limite.
In realtà, sarà la paura o u scantu ma io girando per strada il rispetto delle regole basilari le vedo. Mi accorgo che il 90% delle persone porta regolarmente le mascherine; vedo l’ordine nei negozi e negli uffici.
Le eccezioni, poi, ci sono sempre. Per carità.
Alla Posta o davanti alle banche, ad esempio, a mio avviso ci si deve organizzare meglio: se i catanesi hanno risposto bene anche le istituzioni devono fare qualcosa di più”.
Teatri e cinema sono inaccessibili.
“E c’è molta rabbia. Voglio che si venga a conoscenza di un dato: quello che dallo scorso di mese di maggio e fino a quando è stata disposta la nuova chiusura, in Italia ci sono stati 2700 spettacoli con un afflusso di pubblico di 340 mila spettatori.
Sai, dei 340 mila spettatori, quanti sono stati i positivi?”.
No ed è interessante saperlo.
“Uno. Uno soltanto, Uno non è nemmeno statisticamente rilevante. E la cosa che mi fa rabbia è che non avrebbero dovuto illuderci. Non avrebbero dovuto dirci che avremmo potuto riaprire perché ognuno di noi ha sanificato i propri locali, ha affrontato delle spese per organizzare al meglio le entrate e le uscite dai teatri e dagli stessi locali.
Probabilmente noi artisti siamo ritenuti dei giullari e avremmo dovuto essere coesi fin dall’inizio”.
In che modo, a tuo avviso?
“Prendi la televisione. Non avrebbe dovuto andare in onda nessun film, nessuno spettacolo dove ci sono gli interventi degli artisti come Zelig o Quelli che il calcio. Sarebbe stata una presa di posizione forte perché avrebbe voluto dire che siccome non lavora il più umile degli attori anche il più importate dà la propria testimonianza che è sbagliato agire come si sta facendo adesso.
Saremmo rimasti solo con “Un giorno in Pretura” e forse qualcosa sarebbe cambiata fin da subito”.
Visto il momento, da cosa credi che possa ripartire Catania?
“C’è certamente una grande voglia di ricominciare. E me ne accorgo da una cosa semplicissima: quando io e tu, oggi, ci siamo incontrati il primo istinto è stato quello di abbracciarci. Ed io credo che ci sarà una grande voglia di ripartire da qui.
Anche dal punto di vista artistico c’è bisogno di ritornare a fare ciò che facevamo prima.
Che era tanto. Era tutto”.
Quello che sto per chiederti, potrei domandarlo allo stesso modo a riferimenti come Salvo La Rosa, Giuseppe Castiglia Ruggero Sardo, David Simone Vinci: ma chi è il tuo erede? Chi è l’erede di Gino Astorina?
“Ci sono tantissimi ottimi talenti ma indicare un “erede” è scomodo perché poi vengono fatti sempre paragoni.
Sono felice che ci possano essere tanti ottimi talenti. Personalmente, ho avuto la fortuna di scegliermi il campo sul quale giocare: il genere che facciamo noi non è teatro; non è raccontare la barzelletta; non è un genere classificabile. Abbiamo messo assieme tutte queste cose ed abbiamo creato qualcosa che a Catania prima non c’era.
Però, figghi mei non parlerei di eredità perché sarebbe come sminuirli”.
C’è un film che ti ha visto protagonista nei mesi scorsi e che oggi torna alla ribalta: “Lo scoglio del leone”. Un film che non cito a caso.
“Fai bene e ti ringrazio. Bisogna dire davvero grazie a Rosario Scandura perché solo un visionario come lui poteva mettere in piedi un film così difficile. Pur essendo uscito prima della pandemia ha ridato dignità e peso specifico a valori smarriti. E’ riuscito a fare qualcosa che ha emozionato tutti.
Nel mio personaggio emerge con forza l’importanza di chiedere scusa: e chiedere scusa non è una sconfitta ma, semmai, una grande vittoria”.
Lanciamo un messaggio ai catanesi ed a chi ci legge?
“Io dico che noi catanesi dobbiamo essere in prima linea per dar vita al Partito dell’ottimismo. Non dimentichiamo che noi abbiamo nel dna la ricostruzione.
Il terremoto, l’Etna: tutte queste cose ci hanno sempre fatto capire che ricominciare non è tornare indietro. E’, semmai, tornare a vivere e sognare.
Noi catanesi dobbiamo essere in prima fila nel non piangersi addosso. Ai miei concittadini ed a chi ci legge, dico che se abbiamo la possibilità di fare qualcosa per chi ci sta vicino ed ha bisogno, facciamolo.
Mi accorgo che troppe persone in silenzio e con tanta dignità stanno soffrendo.
Non dimentichiamo di volerci bene”.
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25 Dicembre 2020, 07:01