23 Giugno 2015, 06:00
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PALERMO – L’appuntamento è fissato per oggi. Quando è in programma l’ennesimo vertice di maggioranza. Ancora una volta un rito consumato e vetusto impegnerà i maggiorenti della sbrindellata coalizione che sostiene il governo Crocetta. E ancora una volta si discuterà di mirabolanti riforme, di leggi da approvare, di cambi di passo e altri ritornelli già sentiti un centinaio di volte. Sempre rigorosamente al futuro: faremo, approveremo, cambieremo. Un futuro che si è andato sempre più assottigliando, con l’inutile trascorrere del tempo in questa fallimentare legislatura.
La maggioranza si riunisce, dopo aver litigato per le amministrative, in cui si è presentata divisa e avvelenata. E per aggiungere passo falso a passo falso, ecco il pasticcio all’Ars con il rinvio dei tagli ai compensi di sindaci e amministratori dei Comuni. E a corredo, una nuova puntata dell’eterna manfrina polemica tra il governatore e i renziani di Sicilia, e un abbozzo di scontro istituzionale tra la prima carica di Palazzo dei Normanni e Palazzo d’Orleans.
In questo quadretto dalle premesse incoraggianti oggi toccherà raccontare la nuova sceneggiata del vertice di maggioranza al quale sono stati invitati a partecipare solo i capigruppo dell’Ars e i segretari dei partiti. In mezzo al guado c’è sempre il Pd siciliano, invischiato in una trappola che s’è costruito da solo e che oggi lo pone di fronte a un bivio senza possibilità di successo.
Alla voce di Fabrizio Ferrandelli, che da un po’ predica la necessità di abbandonare la nave di Crocetta, s’è aggiunta quella di un altro deputato regionale, Mario Alloro, anche lui propenso a staccare la spina al governo. Idea che secondo diverse ricostruzioni solletica anche Roma e i renziani doc. Ma che non fa presa sulla maggioranza del partito, convinta del fatto che mollare oggi Crocetta e tornare alle urne significherebbe una sconfitta certa.
In effetti, è difficile immaginare che il partito che ha portato il governatore a Palazzo d’Orleans e che per due anni e mezzo lo ha sostenuto governandoci insieme non sarebbe chiamato a pagare un prezzo salato alle urne. E non è affatto detto che sfiduciare il governatore sarebbe un gesto sufficiente per far dimenticare ai siciliani quest’esperienza e convincerli a dare di nuovo fiducia al Pd. Che peraltro al momento in Sicilia non ha ancora un candidato e nemmeno una coalizione definita per supportarlo.
Ecco perché malgrado tutto il Pd finirà per tirare avanti. Immergendosi ancora una volta domani nel consueto bagno di buoni propositi. “L’invito di queste ore del Presidente Crocetta a riprendere, accelerando, l’operatività di governo e assemblea va colto con un’assunzione piena di responsabilità da parte del Gruppo parlamentare democratico e dall’intero Pd”, diceva oggi la deputata Marika Cirone. Facile immaginare che sarà proprio questa la salmodia che verrà riproposta dal vertice di maggioranza. Andare avanti e cambiare passo, anche se non ci crede più nessuno, o quasi. Andare avanti e sperare che qualcosa s’aggiusti, o che magari a Roma la situazione precipiti e ci possa accodare a elezioni nazionali sperando nel traino di Renzi. Sempre che il premier non si logori troppo appresso ai casi Marino, De Luca, Castiglione e via dicendo.
Un piano B che a molti – anche dentro al partito – sembra però destinato allo stesso epilogo, la sconfitta. E se altri due anni e mezzo di legislatura si tradurranno in altri due anni e mezzo di disastri, per di più con le casse della Regione sempre più vuote, la portata della prossima disfatta potrebbe essere ben più pesante. Tanto più che il tempo potrebbe consentire a un centrodestra oggi spaesato e malconcio di riorganizzarsi e al Movimento 5 Stelle di rafforzarsi ulteriormente, magari aggiungendo qualche altro Comune a quelli giù amministrati.
Meglio perdere o straperdere? L’adagio popolare propende per la prima opzione. Il Pd coi suoi vertici di maggioranza sembra destinato a scegliere la seconda.
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23 Giugno 2015, 06:00