10 Aprile 2014, 06:00
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PALERMO – “Sono stupito dal doppiopesismo. Vorrei più garbo e attenzione a non additare persone con accuse politiche gravi, visto che hanno una fedina penale assolutamente immacolata. E inviterei Crocetta a verificare se nella sua giunta ci sono responsabilità ben più gravi”.
Fausto Raciti la formula così, algido sul palchetto della direzione nazionale del Pd. Che subito si trasforma nello psicodramma del Partito democratico siciliano. Che lava i panni sporchi in diretta nazionale, con una teatrale rappresentazione della velenosa faida che sta devastando il primo partito della maggioranza siciliana.
Quando Raciti ammonisce cripticamente Crocetta di guardare nella sua giunta, il presidente, non inquadrato, si scalda in platea. “I nomi, Raciti, fai i nomi!”, incalza. Subito prima era stato proprio lui a salire sul podio per dire no alla candidatura da capolista del magistrato Caterina Chinnici, figlia del martire dell’antimafia Rocco: “E’ stata assessore col governo Lombardo che è stato condannato per mafia. Questo è un valore indistinto o la politica c’entra?”. Eccola di nuovo, la mafia. E il mascariamento, siculissima e collaudata pratica del macchiare col dire e non dire, che puntuale imperversa nel dibattito interno di un partito sempre più avvelenato da sospetti e allusioni.
Nessuno si salva dalla grande corsa a mascariare il nemico di turno. Nemmeno il giovane Raciti, uno dal quale per anagrafe e profilo ci si aspetterebbe altro registro, si esime. E butta lì un inquietante schizzo di fango a sporcare la neonata giunta quando ancora vagisce in fasce immacolate. A chi si riferisce il segretario? Quali assessori avrebbero “responsabilità ben più gravi” di quelle, politiche, della Chinnici? Non è dato saperlo. Ma certo, per il nuovo governo, un tale viatico di sospetto impartito dal segretario del partito di riferimento della maggioranza non è di buon auspicio. Sperare che in queste condizioni e con questo clima la nuova giunta possa davvero far fronte al compito immane a cui è chiamata è molto difficile.
Eppure, ormai il taglio del dibattito dentro il partito erede delle tradizioni di Pio La Torre e Piersanti Mattarella è questo. Passano pochi minuti dalla fine della diretta della cavalleria rusticana romana e Antonello Cracolici, fresco escluso dalla lista delle Europee (dopo una manciata di iniziative elettorali) twitta, con una certa misura: “Ho subito la vendetta trasversale tipicamente mafiosa dal duo Crocetta-Faraone”. Salute.
Avanti così, con allusioni di mafiosità come se piovesse. Tutte interne al partito della questione morale di Berlinguer. E con una disinvoltura che fa tremare i polsi. È passata in cavalleria, ad esempio, solo pochi giorni fa l’uscita di Crocetta che parlando a un quotidiano in merito alle obiezioni dei partiti (il suo Pd e l’Udc) all’ingresso di Antonio Ingroia in giunta, ha affermato con nonchalance: “Ingroia condivide con me la sfida a Matteo Messina Denaro. E sia chiaro che ci sono ancora referenti di Messina Denaro in diversi partiti”. Chi? Come? In quali partiti? Vallo a sapere. “I nomi”, verrebbe da chiedere proprio come ieri ha fatto Crocetta con Raciti.
Un presidente della Regione siciliana che denuncia una tale enormità forse dovrebbe meritare titoli a nove colonne e una visita della commissione nazionale Antimafia l’indomani. E invece no, la frase scivola via come acqua fresca. Perché quando tutto diventa mafia, niente più è mafia. Qualcosa del genere la denunciò nove mesi fa, prima di diventare uno dei migliori amici politici del governatore, Davide Faraone, attaccando i “professionisti dell’antimafia 2.0”, che “non accettano alcuna critica politica o amministrativa, se la pensi diversamente da loro sei mafioso e attenti alla loro vita. “Queste accuse mi disgustano, sono accuse mafiose”, commentò per tutta risposta Rosario Crocetta. Appunto.
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10 Aprile 2014, 06:00