Il pentito Di Carlo batte un colpo | E tira in ballo il padre di Mattarella

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31 Marzo 2016, 20:00

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PALERMO – Ci risiamo. Il pentito Francesco Di Carlo batte un colpo. E che colpo: Bernardo Mattarella, padre del capo dello Stato Sergio, era un uomo d’onore della vecchia Cosa nostra di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani. Il Fatto Quotidiano dà notizia “dell’ultimissimo verbale”, datato 3 marzo 2016, in cui l’ex boss di Altofonte ripete quanto già detto un paio di decenni fa e vi aggiunge ricordi che “vengono a galla”. Il fu boss, che vive da uomo libero tra l’Italia e Londra, torna ad accusare Bernardo Mattarella, morto nel 1971, e ministro della Repubblica mezzo secolo fa.

Il processo, al cui fascicolo il verbale potrebbe essere acquisito, è quello che si svolge in sede civile. Nel 2009 l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e i nipoti – sono i figli del fratello Piersanti – hanno citato per danni ((la richiesta è di 250 mila euro) la casa editrice Longanesi e il giornalista Alfio Caruso, autore nel 2000 di una storia della mafia, “Da cosa nasce cosa”, libro giunto all’ottava edizione. I Mattarella, assistiti dall’avvocato Antonio Coppola, contestano alcuni passaggi del libro – rimasti inalterati nelle otto edizioni apparse dopo il 2000 – in cui si faceva riferimento alle “frequentazioni mafiose” di Bernardo e venivano descritti i rapporti di Piersanti Mattarella, ex presidente della Regione assassinato dalla mafia il 6 gennaio ’80.

Ad inizio mese – la regola delle indagini difensive ne dà piena facoltà -, l’avvocato Fabio Repici, legale di Caruso, ha chiesto il permesso al Servizio centrale operativo di interrogare Di Carlo. Il pentito gli ha raccontato, come riporta il Fatto Quotidiano, che “in quei primi anni Sessanta, nei paesi in Cosa nostra entravano le persone migliori. Così era capitato anche a Bernardo Mattarella, che era un giovane avvocato perbene. Ciò era avvenuto anche nell’ambito della famiglia della moglie Buccellato, che aveva al suo interno sia esponenti di Cosa nostra, sia esponenti delle Istituzioni, perfino un magistrato”. Nei mesi scorsi il giudice civile Enrico Catanzaro ha rigettato l’istanza di sentire in aula Di Carlo, sia quella di convocare Sergio Mattarella per sapere se la madre, Maria Buccellato, fosse legata a personaggi della mafia trapanese. L’avvocato Coppola, però, ha presentato dei documenti anagrafici da cui emerge che il nonno materno di Sergio Mattarella, Antonio Buccellato, era solo omonimo di un mafioso trapanese.

Repici (storico difensore di Salvatore Borsellino, ndr) – che a proposito di capi di Stato ha tentato senza successo di fare convocare in aula Giorgio Napolitano a Caltanissetta nel processo Borsellino quater – ha chiesto al giudice civile di acquisire il nuovissimo verbale in cui Di Carlo aggiunge che “Insieme a Volpe (un vecchio democristiano che il pentito sapeva essere affiliato alla famiglia mafiosa nissena, ndr), ebbi occasione di andare a casa di Mattarella in una piazzetta, forse Virgilio o Isidoro Siculo”. Che in realtà sarebbe Diodoro Siculo, una piazza palermitana a poca distanza dalla quale, scrive il Fatto Quotidiano, c’era proprio l’abitazione di Bernardo Mattarella.

Isidoro o Diodoro che sia, non si può certo pretendere precisione quando si pesca nel calderone dei ricordi. L’importante è battere un colpo per far sapere a tutti che un pentito è per sempre. Qualche mese fa, Di Carlo, intervistato sempre dal Fatto Quotidiano, lo aveva anche ammesso: “Non ho detto ancora tutto? In ballo ci sono trent’anni di storia di mafia, se poi uno dice quello che ho detto io bisogna procedere per gradi. La verità non tutti vogliono conoscerla. A domanda rispondo, ma so anche che il sacco vuoto non si regge in piedi”. Procedere per gradi: è diventato il credo dei pentiti di mestiere.

 

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31 Marzo 2016, 20:00

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