Il pentito e la ‘missione romana’| “Nel mirino pure Costanzo e Baudo”

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12 Febbraio 2020, 13:41

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PALERMO – “Matteo Messina Denaro lo conoscevo perché giocavamo assieme da bambini, abitavamo vicini. Facevo moltissime rapine, iniziai a 17 anni, pure con un sequestro di persona e mi sono rivolto a Matteo Messina Denaro, ho cercato la sua protezione perché non mi succedesse più nulla”. Lo ha detto il collaboratore di giustizia Francesco Geraci chiamato a deporre questa mattina nell’ambito del processo “Capaci bis” che si celebra dinanzi la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta che ha accolto la richiesta avanzata dal procuratore generale Lia Sava e dal sostituto procuratore generale Antonio Patti. In particolare la procura aveva chiesto di sentire Geraci in merito alla cosiddetta “Missione romana” decisa da Riina per progettare l’uccisione nella capitale di Giovanni Falcone nei primi mesi del ’92. “Prima di andare a Roma – ha ricostruito il teste – andammo a Palermo, con Messina Denaro, ad una riunione, alla quale non mi fecero prendere parte, credo perché non contavo niente. C’erano Matteo Messina Denaro, Renzo Tinnirello, i fratelli Graviano, Enzo Sinacori, Salvatore Biondo, e lì si è deciso che si doveva andare A Roma. Nella Capitale eravamo io Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Renzo Tinnirello, Enzo Sinacori, e un’altra persona. Mi portarono a Roma perché avevo l’American Express che gli faceva comodo”. All’udienza di questa mattina non si è presentato invece l’altro teste, l’ex poliziotto Giovanni Peluso. Gli imputati del “Capaci bis” sono i boss Salvo Madonia, Giorgio Pizzo, Cosimo Lo Nigro, Lorenzo Tinnirello e Vittorio Tutino. I primi quattro, in primo grado, vennero condannati all’ergastolo mentre Tutino venne assolto per non aver commesso il fatto.

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“Quando partimmo per Roma, io sono andato con Enzo Sinacori in aereo, Matteo Messina Denaro è partito con Renzo Tinnirello, e Giuseppe Graviano è partito con Fifo De Cristoforo”. A raccontare i particolari della cosiddetta “Missione Romana” durante la quale si sarebbe dovuto uccidere, su ordine di Riina, Giovanni Falcone, nei primi mesi del ’92, mentre questi era direttore degli Affari penali del Ministero della giustizia, è il collaboratore di giustizia Francesco Geraci, chiamato a deporre come teste questa mattina all’udienza del processo sulla Strage di Capaci che si celebra in corte d’Assise d’Appello. “Avevamo compiti differenti – ha continuato Geraci – cercavamo Maurizio Costanzo, Michele Santoro, Pippo Baudo e Giovanni Falcone perché dovevamo ucciderli. Quando uscivamo eravamo a gruppi, ero io con Sinacori, Graviano con Fifo De Cristoforo e Messina Denaro con Tinnirello. La macchina l’abbiamo affittata a nome mio perché ero io che avevo la carta di credito. Per quella trasferta Messina Denaro diede 5 milioni di lire ciascuno. A Roma siamo stati circa 9 giorni”.
“Ci dissero che dovevamo uccidere i giornalisti – ha aggiunto Geraci – per allontanare l’attenzione dalla Sicilia e creare dei casini al Centro Italia. Portare l’attenzione sui vecchi brigatisti. Ne parlava Matteo Messina Denaro”. Geraci ha ricostruito nel corso dell’udienza alcuni particolari del progetto di morte. “Si parlava di mettere il tritolo in un bidone dell’immondizia o una macchina vicino al teatro dove si faceva il Maurizio Costanzo Show. Io e Sinacori siamo andati anche a fare un sopralluogo. Di armi – ha aggiunto – a Roma non ne ho viste. Le avevo viste invece a Mazara Del Vallo quando le stavano preparando. C’erano dei kalashnikov che Matteo Messina Denaro e Enzo Sinacori provarono. C’erano delle pistole. Moltissime armi comunque”.
(ANSA).

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12 Febbraio 2020, 13:41

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