25 Giugno 2014, 06:00
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PALERMO – Si era esposto in prima persona. Il reggente della famiglia di Partanna Mondello non aveva cercato nessuno per fare “il lavoro sporco”. Gli erano bastati due complici per organizzare un’intimidazione ad hoc nei confronti di chi non voleva abbassare la testa alla richiesta del pizzo. Il boss Tommaso Contino, con Salvatore D’Urso ed Antonino Spina, la sera del 6 maggio del 2012 era salito a bordo di un’auto. La direzione era quella di via Spinasanta, dove si trova uno degli ingressi del cantiere in cui sono in corso i lavori per la realizzazione di tredici sale cinematografiche.
Si trattava dell’ex stabilimento Coca Cola, a Partanna Mondello: la cosca non voleva lasciarsi scappare la possibilità di rimpinguare le proprie casse con una nuova eventuale estorsione. E il rifiuto del titolare della ditta che si occupa dei lavori, non era stato “gradito”. Contino aveva quindi optato per il danneggiamento, doveva lanciare un segnale: Giorlando Giuseppe e Carmelo Farnese, sotto le sue direttive, non erano riusciti nell’intento estorsivo ed era giunta l’ora di passare alle maniere forti. Cosa nostra doveva fare sentire comunque la sua presenza. I tre – come hanno svelato le immagini del circuito di telesorveglianza del cantiere – sono così arrivati davanti al cancello intorno alle 19.
Alcuni giorni prima avevano effettuato un primo sopralluogo tra via Spinasanta e via Nicoletti, dopo il quale avevano deciso come agire. Hanno così scavalcato, ma si sono accorti che non avevano portato i guanti, per evitare di lasciare tracce. In più, uno di loro poteva essere riconoscibile:
D’Urso: “Quello si deve chiudere quel tatuaggio che ha qui…già gliel’ho detto”. Comunque…non erano meglio le calze per coprirci?
Spina: “Quanti scaldacollo hai?”
D’Urso: “Due”
Spina: “Dammene uno, non abbiamo niente…mazzuoli, cose…”
D’Urso: “Buttagli le pietre”
I due si riferivano alla presenza di alcuni cani da guardia, che avrebbero reso più difficoltosa la loro operazione.
Contino: “Vedete dove c’è questa specie di cancello? Dobbiamo stare attenti a scendere…ci mancavano questa minchia di cani, qui ci abitano…da qui ci viene più vicino”.
Le immagini hanno così immortalato i tre mentre salivano a bordo di mezzi meccanici della ditta “Tecnoscavi”, incaricata dall’imprenditore Francesco Sanfratello per l’esecuzione dei lavori. Mezzi che sono stati danneggiati in pochi minuti. Subito dopo, forse per un rumore sospetto, i tre si danno alla fuga.
Contino: “Cornuti e sbirri…minchia corse…”
D’Urso: “C’era qualche sensore..”
Contino: “Sì, nell’ultimo posto…comunque picciotti, i cappellini dobbiamo buttare”
Spina: “Qui li dobbiamo buttare?”
Contino: “No, dall’altra parte”
Spina: “Lo stesso ce l’abbiamo fatta, gli abbiamo fatto quelli gorssi tutti davanti e quelli piccoli di dietro”
Si riferivano ai mezzi meccanici gravemente danneggiati: erano stati ridotti in frantumi i vetri di una pala meccanica e le leve di comando di un escavatore erano state manomesse. A denunciare i danneggiamenti fu il titolare della ditta incaricata da Sanfratello. Il capo cantiere della Tacnoscavi confermò alla polizia l’impossibilità di utilizzare di mezzi e parlò di un precedente contatto con Giorlando, che aveva cercato un primo approccio per una richiesta estorsiva:
“Ieri, intomo alle ore 12:30 ho ricevuto una telefonata da Giuseppe Giorlando, alla quale non rispondevo. Poco dopo mi telefonata Carmelo Farnese a cui rispondevo e che mi chiedeva di uscire in quanto si trovava fuori dal cantiere. A questo punto, considerato che conosco da tempo entrambi. uscivo e me li trovavo di fronte tutti e due. Mi chiedevano se potevo fargli lavorare un loro camion per il trasporto di materiale di risulta e io gli
rispondevo “poi vediamo”. Parlavamo poi del trasporto di alcune cisterne che era già stato con me concordato. A questo punto Giorlando mi chiamava in disparte e mi diceva che terze persone, di cui non esplicitava l’identità, gli avevano chiesto di riferirmi che mi volevano incontrare, che mi dovevo “mettere a posto” e che intanto era meglio se fermavo i lavori. Gli rispondevo che non volevo assolutamente incontrare nessuno e che per il lavoro di cui mi aveva chiesto gli avrei dato una risposta”.
Insomma, oltre alla “messa a posto”, nel cantiere in cui era all’opera la ditta incaricata da Sanfratello, stavano per essere imposti dei lavoratori. Ma la “chiusura” di fronte alle richieste degli uomini di Contino, era sfociata ben presto nel danneggiamento. L’imprenditore spiegò così alla polizia che intorno al cantiere non c’era vigilanza, ma che il circuito di videosorveglianza aveva ripreso tutto. E sono state proprio quelle immagini, a rappresentare uno dei punti cardini delle indagini sul giro di estorsioni della famiglia di Partanna Mondello, nal maxi mandamento azzerato durante l’operazione “Apocalisse”. Una denuncia che ha squarciato il muro di silenzio tra le trentaquattro estorsioni – comprese le ventuno tentate – venute a galla nel corso delle indagini coordinate dal pool di magistrati che hanno emesso 95 ordinanze di custodia cautelare.
E d’altronde, Francesco Sanfratello aveva già raccontato ai poliziotti della squadra mobile dieci anni di estorsioni, di cui era stato vittima da parte del clan di Palermo Centro. Nel 2011, era reduce da un calvario che si era snodato tra furti e danneggiamenti: i boss lo avevano costretto a pagare da diecimila a ventimila euro su ogni cantiere per la ristrutturazione dei palazzi del centro storico. Troppi anni di ricatti e soprusi. Alle dichiarazioni dell’ imprenditore si erano aggiunte quelle di suoi due soci e di tre collaboratori di giustizia e, dopo l’operazione “Apocalisse”, ribadisce che non tornerebbe mai indietro:
“La mia è stata una scelta consapevole – dice a LiveSicilia – dovevo uscire da quel tunnel di minacce e dovrebbero farlo tutti gli imprenditori onesti, per sentirsi finalmente liberi. Ormai sono impegnato da anni su questo fronte ed anche se tutto questo ha influito notevolmente sul destino della mia azienda, oggi in liquidazione, se tornassi indietro farei la stessa scelta. Si dovrebbe fare di più – prosegue – perché così facendo si rischia seriamente di rimanere isolati. L’ulteriore denuncia dei danneggiamenti quando sono iniziati i lavori all’ex stabilimento Coca Cola per me ha rappresentato l’ennesima tappa di un percorso di legalità che ho intrapreso con fermezza e porterò avanti. Una strada coerente che mi dà coraggio e non mi fa mollare. Lo stesso coraggio che auguro di avere a chi si trova nelle condizini in cui ero io. Gli imprenditori palermitani – conclude Sanfratello, amareggiato – purtroppo stanno troppo a guardare e a subire. L’unica scelta da fare è quella di denunciare”.
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25 Giugno 2014, 06:00