26 Settembre 2019, 05:20
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PALERMO – L’unico rammarico che dice di portarsi dentro è quello di non avere raccontato spontaneamente di avere pagato il pizzo. È vero, ammette Massimo Monti, aspettò di essere convocato dai carabinieri per raccontare la verità, ma “oggi andrei con i miei piedi e subito dagli investigatori”.
Una cosa è certa, “non ho strizzato l’occhio alla mafia e mai lo farò. È una macchia che non potevo permettermi, né io né la mia famiglia. Mi sono sentito umiliato. Ero seduto da imputato nell’aula bunker dell’Ucciardone”.
Monti, ex gestore della sala bingo di via Emerico Amari, a Palermo, si è scrollato di dosso una brutto peso giudiziario. Il Tribunale lo aveva condannato a due anni per favoreggiamento. Alcuni giorni fa è stato assolto in appello. Non ha retto l’ipotesi che avesse spifferato ai mafiosi di Porta Nuova, tutti condannati, che su di loro c’erano indagini in corso.
La vicenda penale – Monti si è difeso sempre nel processo e mai dal processo -, gli è pesata parecchio, meno di quella amministrativa però. “Sono stato raggiunto da un’interdittiva antimafia della prefettura – spiega – che mi ha portato a dovere svendere il bingo. Poi i Monopoli di Stato mi hanno revocato le licenze di due agenzie di scommesse sportive sulla base dei fatti per i quali sono stato assolto”.
I fatti erano questi. I carabinieri nel 2013 sequestrano un pizzino agli uomini del racket di Porta Nuova. C’è scritto anche “Bingo 10.000 X2”. Monti viene convocato e ammette di avere pagato. Nell’ottobre del 2014 viene convocato una seconda volta. Racconta di non avere ricevuto più richieste estorsive e di non conoscere i soggetti ritratti in un album mostratogli dagli investigatori. Solo che, appena uscito dalla caserma, pedinato, l’imprenditore viene immortalato mentre incontra Paolo Calcagno e Ludovico Scurato in un bar di via degli Scalini. Erano le persone che poco prima disse di non conoscere.
“Non li conoscevo, è vero e lo confermo”. Perché li ha incontrati allora? E qui Monti fa autocritica, parla di “superficialità”. La mafia, però, non c’entra: “Mi avevano rubato due biciclette. Una persona che conoscevo perché lavorava in un bar vicino al bingo mi disse che sapeva dove recuperarle. Le cose sono andate così. Nelle immagini si vede che andiamo via con queste due maledette biciclette, non ho pagato neppure un euro per averle indietro”.
Ma nelle foto delle informative si vede pure Paolo Calcagno, boss di Porta Nuova: “Non sapevo e non so chi sia. Non siamo andati da lui, quando ha visto la persona che mi accompagnava al Capo gli ha detto ‘vieni che offro un caffè’. Infatti nelle foto io sono sempre distante, poi loro si siedono e io resto in piedi”. Ecco perché Monti parla di superficialità.
“E le dico di più…”, aggiunge. Monti torna sull’argomento pizzo: “Quando mi hanno convocato nel 2013 sono stato io a dire che la scritta ‘Bingo 10.000 X2’ si riferiva alla mia attività. Pagava già mio padre, si era accordato per versare venti mila euro all’anno. Prima di morire mi ha raccontato questa cosa e io ho continuato a pagare per alcuni anni. La prima volta ho consegnato la busta con i soldi a una persona che si presentò come signor Giuseppe, poi li ho lasciati nella reception del Bingo”.
Gli autori delle estorsioni non sono mai stati individuati. Perché non ha denunciato subito? “Per paura, non è una cosa facile, oggi sono cambiato e sarei il primo a denunciare. In un territorio difficile dove fare impresa è quasi una missione eroica, abbiamo bisogno di sentire la vicinanza delle istituzioni, abbiamo la necessità di non sentirci soli, sia quelli che denunciano il pizzo sia quelli che ancora non hanno la forza di farlo. Non bisogna lasciare indietro nessuno. Nonostante io sia stato colpito da provvedimenti duri per cui perdere la fiducia era facile devo dire che gli amici più cari mi sono rimasti sempre vicini, così come alcuni rappresentanti delle istituzioni”.
Il riferimento è a due commissari straordinari nominati dalla prefetto che d’intesa con Monti lo hanno accompagnato nel percorso che si è chiuso con la vendita (“L’ho fatto soprattutto per i lavoratori”) del bingo a un’impresa del Nord che oggi gestisce regolarmente la struttura. Le due agenzie, invece, che non facevano parte della cessione, Monti le ha perdute: gli sono state revocate le licenze.
“Non c’è una sola intercettazione, e Monti è stato ascoltato e pedinato per mesi – spiega il suo legale, l’avvocato Rosario Milazzo – in cui emerga un suo contatto con le persone indagate e condannate. Nessun riferimento all’ipotesi di favoreggiamento per cui è stato processato. Nessun collaboratore ha detto di conoscerlo. Siamo sempre stati fiduciosi per l’esito processuale”.
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26 Settembre 2019, 05:20