03 Marzo 2024, 07:10
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Se ci fosse un’olimpiade di “gioco delle tre carte avremmo già il vincitore. Il 26 febbraio il Consiglio dei Ministri ha approvato il nuovo DL sul Pnrr a firma Fitto. 86 dense pagine e 48 articoli che ovviamente noi, addetti ai lavori, abbiamo divorato sperando che almeno alla fine dell’avvincente lettura ci fosse la risposta ai nostri interrogativi: il Pnrr produrrà quelle istanze di sviluppo così necessarie a superare i divari territoriali, sociali, generazionali, di genere che hanno reso debole la nostra economia e che ci lasciano in fondo alle classifiche come capacità di produrre “spesa utile” con i fondi europei?
Perché certificare spesa non significa fare spesa utile. Anzi. Se certifico progetti già realizzati che vengono adesso riprodotti in un altro contenitore finanziario, non creo sviluppo, faccio solo certificazione di spesa. Dovrebbe essere ovvio, è un gioco antico che si ripete in ogni programmazione ma che stavolta incrocia il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’FSC ed il PNC ovvero il Piano Nazionale Complementare che è un po’ il gemello ‘domestico’ del Pnrr (stesse misure ma finanziate interamente da fondi nazionali e quindi non soggiace alle scadenze perentorie dell’Europa).
Il provvedimento varato dal Governo Meloni riscrive le coperture finanziarie e ridefinisce le regole di gestione degli investimenti del Piano di ripresa e resilienza. Prevede, fra le tante cose, il ritorno sulla scena delle opere eliminate dal Pnrr nel blitz di luglio e mai effettivamente definanziate. I Comuni che si erano infatti visti eliminare a luglio oltre 13 miliardi di interventi sui territori, non hanno poi ricevuto alcun decreto di definanziamento delle opere: rimanendo in una sorta di limbo, mentre il tempo scorre e si avvicina il termine finale di rendicontazione delle opere PNRR. Per poi sentirsi dire oggi che ci saranno azioni di responsabilità verso quei Comuni che hanno ritardato. Come dire, oltre al danno la beffa.
Ma torniamo al DL Pnrr del 26 febbraio scorso, che “salva” i progetti che aveva eliminato appena pochi mesi prima, per un totale di 22 miliardi! Prendiamo il pallottoliere perché i conti non tornano. Dei 22 miliardi, oltre 10 andrebbero ai grandi Comuni e alle città metropolitane, 6 miliardi per piccole e medie opere, 3,4 per opere di rigenerazione urbana e 1,6 per la riqualificazione delle periferie.
Ma a chi vengono invece tolte le risorse ritrovate per rimettere i corsa i progetti dei Comuni, per i quali il Ministro Fitto ha dichiarato che “nessun progetto andrà perso e tutte le risorse verranno recuperate”? 2,2 miliardi derivano dal capitolo degli investimenti in ferrovie e strade, 1,8 miliardi per investimenti e messa in sicurezza dei territori e 250 milioni da economie delle gestioni per la ricostruzione delle aree terremotate. Per un totale di 4,25 miliardi. I conti non tornano.
Per far tornare i conti, i comunicati del Governo dicono che si farà ricorso alle fonti di finanziamento nazionale: il Fondo di sviluppo e coesione (per 4,9 miliardi a valere sulla quota nazionale del Fondo) ed il Piano complementare nazionale (per 3,8 miliardi). Il che significa che saranno sacrificati molti interventi per dirottare i fondi sulle nuove esigenze. Ma nessuna notizia su come intendano operare e quali misure di investimento saranno adesso sacrificate. A dire il vero è alquanto curioso che la bozza del decreto arrivato in Consiglio dei Ministri mancava dell’articolo 1, proprio quello che avrebbe dovuto descrivere la riprogrammazione degli investimenti.
Vi siete confusi ? Tranquilli, siete in ottima compagnia. I ministri Fitto e Giorgetti dovranno mettere sui tavoli del Cipess la prima delle informative semestrali sullo stato di avanzamento lavori del PNC sulle iniziative intraprese per trovare fonti di finanziamento alternative, secondo il modello normativo già sperimentato a fine anno nella manovra per il Ponte sullo Stretto. E mettersi soprattutto d’accordo sulla copertura degli investimenti.
*l’autrice è responsabile Pnrr del Pd Sicilia
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03 Marzo 2024, 07:10