Poca grinta tra i rosanero | L’accademia non basta

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27 Ottobre 2013, 12:08

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PALERMO – Da quando vado allo stadio – praticamente da ragazzino, calzoni corti e ciuffo ribelle e già un amore sconfinato per il mio Palermo – non mi sono mai sentito così solo come ieri alle tre meno venti: sono appena sbucato dall’imbuto delle scale e mi guardo intorno, cominciando, come faccio sempre, dalla curva Nord e finendo, a giro, in gradinata: che desolazione! Il Barbera, che è stato capace, nel recente passato, di rigurgitare tifo e passione per trentamila ed oltre, sembra il deserto dei tartari, ma potrei dir di peggio, senza per forza scomodare il capolavoro di Dino Buzzati.

Ad occhio, ci saranno stati un paio di centinaia di tifosi (i novemila finali arriveranno praticamente all’ultimo minuto utile, come volessero farsi pregare prima di decidersi), così pochi che la sessantina di supporters venuti da Varese, cioè dall’altra parte … del mondo, sembrano pure tanti. Troppi. E perfino minacciosi, con quelle bandiere che già garriscono al tenue venticello di questa estate che tarda a farsi da parte e quella mezza dozzina (troppi, anche questi) di striscioni, il più grande dei quali recita così: “Globuli biancorossi”. E mi scappa un sorriso. Non immagino neppure che sarà l’unico sorriso di questo sabato di calcio, che ancora non riesco a digerire: io e la maggior parte dei veri tifosi rosanero, che evidentemente non si sono ancora resi conto che siamo in serie B, se preferiscono una volta di più al Palermo che gioca in casa, la tv o, peggio, la spiaggia ch’è libera. E il sole di Mondello, che non costa niente e, ad autunno inoltrato, ti fa sentire uno speciale, quasi come un re.

Ma dicevo dell’impressione che mi fa lo stadio vuoto a venti minuti dall’inizio della partita. Che è delicata, importante e difficile, come tutte le partite di questo infernale girone nel quale siamo precipitati, dopo nove anni di paradiso. Siamo in serie B, ma a quanto pare tra i rosanero sono ancora in pochi a rendersene conto. In serie B, infatti, non si scherza; qui si fa sempre sul serio, qui si picchia dal primo all’ultimo minuto e al diavolo i colpi di tacco, le finezze, e i ghirigori di chi si sente più bravo, perché è argentino, perché proviene dalla serie A e, perfino, perché indossa una maglia che racconta la storia di un blasone importante, che viene da lontano, e parlo di tempo e non solo di spazio. Così basta un modesto, ma disciplinato e attento, Varese per spegnere le poche scintille di gioco che di tanto in tanto, nel grigiore generale, si accendono, come pallide stelle in un cielo rannuvolato. E se la partita con il Pescara era stata una partita di autentica sofferenza per la superiorità tecnica degli abruzzesi, questa col Varese è stata un autentico pianto. Peggio: di una noia mortale, incapaci com’erano le due squadre di creare qualcosa che somigliasse, sia pure vagamente, ad una trama di gioco.

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Da una parte, il Palermo recitava – malissimo – il ruolo del padrone di casa, che nel calcio non significa esser gentile ed ospitale, ma giusto il contrario. Invece, a parte i succitati colpi di tacco e i ghirigori di Dybala, di calcio non se n’è intravista neanche l’ombra. Nessuna vera azione d’attacco – definirla altrimenti, tipo azione da gol, sarebbe eccessivo – del Palermo, perché i suoi velleitari tentativi offensivi si fermavano al limite dell’area biancorossa o abortivano con tiracci insulsi che non facevano neanche il solletico al bravo ed esperto Bressan. Anzi, no, mi correggo: un’azione da gol s’è vista, e l’ha costruita il Varese al 25’, quando il temutissimo Pavoletti ha sbatacchiato di piatto destro una palla che chiedeva solo di essere spinta in fondo al sacco. Ma è stato un lampo, una scintilla: per il resto buio pesto. E tanta, tanta atmosfera di “volemose bene”, non facciamoci del male, che un punto ciascuno non fa male a nessuno. Naturalmente questa era solo un’impressione, visto il non gioco in campo, perché in effetti il pareggio andava bene solo al Varese, che nelle ultime quattro settimane aveva racimolato la miseria di un solo punto. Il Palermo, a suo modo, ci provava ma, come già detto, senza creare mai veri problemi alla difesa ospite.

Dybala gigioneggiava tra un colpo di tacco e una veronica (entrambi del tutto inutili) come fa spesso, direi troppo spesso ed Hernadez si dribblava da solo, scattava una, due, tre volte e poi regolarmente… riconsegnava la palla all’avversario. Insomma, un pianto, al punto che l’unico striscione, grondante orgoglio rosanero, che faceva bella mostra di sé in curva Nord e recitava: “ Il traguardo è lontano ma noi ci crediamo”, al fischio di chiusura del primo tempo l’ho visto afflosciarsi da solo, senza che nessuna mano lo tirasse giù: s’era stufato anche lui di sperare e pensare in grande. 0-0 e tutti a riposo e io mi aspetto i soliti cambi chirurgici di mister Iachini, che comincia subito mettendo dentro Belotti per Di Gennaro, trequartista per 45’ ma solo sulla carta, perché in campo s’era visto poco e o niente. Il Palermo cambia modulo, fa il 4-3-3 e al posto di Di Gennaro si accentra Verre, che il tocco ce l’ha e la visione di gioco pure. Almeno, ce l’aveva. Fino a cinque giorni fa, al Franchi di Siena. Quest’oggi sembra appannato anche lui, ma messo al centro, nel vivo del gioco, si vede subito che si trova a suo agio. Ed è suo, infatti, l’unico vero pericolo per Bressan, un gran tiro dal limite dell’area, dopo un no-due da lui stesso ispirato, che ha il solo difetto di essere… troppo ben effettuato: palla colpita di collo destro, che fila dritta verso la rete avversaria ma ben visibile dal bravo Bressan, che la respinge a pugni chiusi, come si fa quando, pur centrali, arrivano bordate come questa.

Ma siamo all’ 80’ e anche se una certa quale scossa arriva a scuotere il Palermo – anche perché nel frattempo era appena entrato per Dybala Lafferty, che si dà come sempre un gran da fare a furia di spallate, corse e rincorse – il tempo ormai è agli sgoccioli e il Varese stringe ancora di più le fila e non si affaccia più, neanche per sbaglio, nella tre quarti rosanero. Finisce così tra qualche timido applauso, che sa di nostalgia canaglia e molti fischi, tanto che i rosanero perdono più tempo del dovuto tra saluti e salamelecchi ad arbitro e avversari prima di andare a salutare, come d’obbligo, i mai domi (ma sparuti più che mai) tifosi della curva Nord.

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27 Ottobre 2013, 12:08

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