Il procuratore nazionale antimafia: | “Sì alla vendita dei beni confiscati”

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28 Febbraio 2017, 14:01

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ROMA – “Fino a quando in Italia i beni confiscati alle mafie non verranno considerati come una risorsa, la situazione resterà quella che è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo già perso molto, troppo tempo: adesso serve un cambio di passo concreto. Per questo ritengo che sia arrivato il momento di prendere in considerazione anche l’alienazione dei beni”. E se il tabù lo sfata niente meno che il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti qualcosa vorrà dire.

Roberti affronta il tema oggi in un’intervista al Mattino. In cui si prende atto del parziale fallimento del sistema di gestione dei beni confiscati ai mafiosi. Un patrimonio gigantesco che però rischia di andare in malora. Sostiene Roberti: “Laddove anche i più seri tentativi di destinare il bene a fini sociali non dovessero andare in porto, allora è meglio vendere”. Accanto alle alienazioni, osserva l’erede di Piero Grasso, “ci sono altre alternative da prendere in considerazione. I beni, come appartamenti e immobili, possono essere destinati ai senzatetto”.

Tra gli ingranaggi che si inceppano c’è quello delle associazioni aggiudicatarie dei beni, quelle che riescono a inserirsi nel giro. “Spesso ci troviamo di fronte ad associazioni che dopo essersi aggiudicate l’immobile non hanno i fondi per gestirlo”, osserva Roberti, secondo cui “basterebbe far funzionare gli strumenti previsti dalla legge: l’Agenzia e i nuclei territoriali di supporto istituiti presso le Prefetture, previsti dal codice antimafia vigente. Peccato che non siano mai decollati. Invece tocca a loro censire i beni, individuare gli obiettivi, valutare le finalità e magari anche la messa a disposizione di risorse finanziarie che quel bene richiede”.

Insomma, un mezzo disastro. Che però non deve far perdere di vista il bicchiere mezzo pieno. Perché, ricorda Roberti, “quando si vuole si ottengono anche ottimi risultati”.

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Il tema è d’attualità, anche se i buoni propositi della politica si sono impantanati. Quando il prefetto Caruso rappresentò alla Commissione Antimafia i problemi che poi sarebbero diventati di pubblico dominio con l’inchiesta di Caltanissetta sulla gestione Saguto. I commissari lo presero quasi a pesci in faccia e la presidente Rosy Bindi censurò la perdita di tempo nell’intervenire sui disservizi. Peccato che la politica, e il Parlamento in particolare, nel perdere tempo si sia rivelato insuperabile, visto che la legge di riforma dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati si è impantanata da un anno al Senato. Cosa dovrebbe prevedere questa legge, lo chiede Il Mattino a Roberti. “I beni sottratti alla mafia sono una risorsa. Se non entriamo in questa logica non andiamo da nessuna parte. Per questo motivo credo che non sia più un tabù auspicarne anche l’alienazione. La vendita. Perché alla fine, laddove anche i più seri tentativi di destinare il bene a fini sociali non dovessero andare in porto, allora è meglio venderli”. E a chi obietta che c’è il rischio che la mafia così rimetta le mani sulla sua roba, Roberti obietta “ che si deve vigilare e – ove mai poi risultasse che quel bene è stato attirato nuovamente a un patrimonio illecito – la magistratura interviene ancora e lo sequestra ancora”.

Un ulteriore impulso per il Parlamento, insomma, dopo una lunga scia di scandali ma anche di polemiche. In questi mesi, infatti, non c’è stata solo l’indagine della procura di Caltanissetta sulla gestione dei beni confiscati e sequestrati da parte del Tribunale di Palermo. Le cronache infatti hanno raccontato anche di un certo travaglio nel mondo dell’associazionismo impegnato su questo fronte. In particolare all’interno di Libera, la creatura di don Luigi Ciotti in prima linea in questo genere di attività. Dopo l’uscita di scena clamorosa di Franco La Torre, figlio di Pio, che sbatté la porta accusando il Don di “tratti autoritari” e lamentando scarsa democrazia nel movimento, nei giorni scorsi il Fatto quotidiano ha raccontato un’altra storia simile, con l’abbandono di alcuni gruppi laziali che hanno accusato il movimento di centralizzazione autoritaria e di dissenso non tollerato. Accuse, respinte dall’associazione di don Ciotti, proprio come nel caso di La Torre.

Ma al di là delle baruffe interne alla galassia dell’associazionismo, resta adesso l’urgenza di un intervento normativo, che da troppo tempo è rimasto incagliato in Parlamento. E le parole del procuratore nazionale antimafia sulla vendita dei beni potrebbero far cadere un tabù in questo dibattito.

 

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28 Febbraio 2017, 14:01

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