05 Luglio 2017, 05:52
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CATANIA – Due fratelli in lotta per il ruolo di capo, i summit a casa di un santapaoliano agli arresti domiciliari e le direttive inviate direttamente dal carcere. Nelle oltre 700 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal Gip Loredana Pezzino è possibile fotografare uno scorcio di storia della mafia all’ombra del cemento del rione San Giovanni Galermo. Un quartiere che storicamente è stato sotto il controllo mafioso dei Santapaola Ercolano e in particolare “il gruppo di San Giovanni Galermo da sempre era stato considerato – scrive la giudice – come una costola del più potente e storico gruppo del Villaggio Sant’Agata”.
I carabinieri della Compagnia di Gravina di Catania hanno seguito in diretta, grazie alle intercettazioni, gli assetti anche relative alla reggenza del gruppo dal 2013 al 2016. Anni in cui si sono susseguiti indagini e blitz che hanno portato in carcere capi e gregari e che hanno determinato cambi al vertice. Le indagini, coordinate dai pm della Dda Andrea Bonomo e Alfio Gabriele Fragalà, hanno permesso di individuare tre figure criminali che hanno avuto le redini del sodalizio mafioso: Salvatore Fiore detto Turi ciuri, Salvatore Gurrieri ‘il puffo”, e Vincenzo Mirenda “Enzo patata” (fratello di Arturo, conosciuto come Turi Sciara).
E’ il collaboratore di giustizia Davide Seminara, ex componente del gruppo dei Nizza di Librino, a fornire ampi dettagli sul ruolo di Vincenzo Mirenda. “Il fratello di “Turi Sciara “ l’ho conosciuto circa nel 2010 o 2011. Veniva al Villaggio S. Agata come rappresentante del gruppo di San Giovanni Galermo appartenente alla famiglia Santapaola. Io come componente di rilievo del gruppo dei Nizza in più occasioni ho fornito marijuana o cocaina a questa persona che la prendeva sempre a nome del gruppo. Ricordo che questo gruppo tardava molto nei pagamenti e per questo io avevo dato disposizione di cercare di evitare di dargli stupefacenti. Comunque certamente sino al 2013 e forse anche nel 2014 se ben ricordo il mio gruppo ha fornito loro stupefacente tanto che nella “carta” dei conteggi per forniture di stupefacenti io trovavo scritto “fratello di Turi Sciara”. Per gli stupefacenti veniva sempre questo Enzo o tale Vittorio ma non Turi Sciara che non si esponeva”.
Anche l’ex componente dei Santapaola di Lineri Giuseppe Scollo conferma il ruolo di vertice di Enzo Mirenda: “Ricordo che era un associato del clan Santapaola, che faceva riferimento al gruppo del villaggio Sant’Agata ed operava nella zona di S. Giovanni Galermo e Balatelle”. Enzo Patata insomma ha un ruolo di rilievo nel gruppo, ma il potere arriva dopo una tensione con il fratello Arturo, che finisce in manette. A Turi Sciara il pentito Seminara riconosce un maggiore carisma criminale: “E’ uno storico appartenente al gruppo di San Giovanni Galermo – racconta ai magistrati – come il puffo e come Turi Fiore. Lo stesso anche negli anni 2013 e 2014 veniva al Villaggio o a San Cristoforo alle riunioni del clan Santapaola per discutere di tutte le questioni riguardanti il gruppo. Lui personalmente non veniva a prendere lo stupefacente ma io solo lo vedevo alle riunioni come rappresentante di rilievo del gruppo di San Giovanni Galermo ed anzi era più rispettato lui all’interno della famiglia che non il fratello Enzo”.
Insomma è “Arturo Mirenda lo storico componente del clan”, scrive la Gip Pezzino. E’ lo stesso Vincenzo a riconoscerlo. Eloquente è un’intercettazione:”…merda che è, è stato pure nelle stanze con i meglio capi di Catania, rubava con i meglio capi di Catania, tutti quanti si sono fatti una posizione e lui…un cesso, gabinetto…cesso e gabinetto… lui lo sa a quest’ora che sto pensando…”
Tra maggio e giugno del 2013 i rapporti però tra Vincenzo Mirenda ed il fratello Arturo si incrinavano e dopo l’arresto “si assisteva ad una progressiva affermazione di Vincenzo all’interno della consorteria criminale – scrive nero su bianco la giudice – diventando lo stesso uomo di fiducia e vice di Gurrieri Salvatore Gurrieri. A partire dal novembre 2013 – scrive la Gip – a seguito della detenzione in carcere di Gurrieri, Vincenzo Mirenda ne prendeva il posto diventando il responsabile operativo del gruppo “.
In questo momento di tensione Arturo Mirenda cerca il sostegno di Turi Ciuri che in quel periodo era detenuto per effetto dell’arresto nell’ambito del blitz Fiori Bianchi dell’aprile del 2013. “La frattura tra i due diventava sempre più insanabile – si legge nell’ordinanza – tanto che Vincenzo cercava di fare in modo che Arturo transitasse in altri gruppi del clan Santapaola-Ercolano, mentre Arturo per riacquistare potere si avvicinava alla moglie di Fiore, cercando di ottenere la sua fiducia dal carcere”.
Quando Turi Ciuri finisce in carcere il ruolo di capo sarebbe passato a “il puffo”. Davide Seminara rivela: “Salvatore Fiore detto “Turi duri” e Salvatore Gurrieri detto “u puffu” si alternavano al comando del gruppo specie quando uno dei due veniva arrestato. Ricordo che nell’aprile 2013 venne arrestato il Fiore e da quel momento a comandare era il Gurrieri”. L’ex capo di Lineri Peppe Scollo racconta ai magistrati che “tra il 2010 e i primi mesi del 2012” Turi Gurrieri “ricordo era in carcere e riceveva lo stipendio da Turi Fiore”.
Ad un certo punto però – come detto – “Ciuri” finisce in carcere . “Il puffo” nei 2013 è ai domiciliari. Per gli inquirenti in quel periodo sarebbe lui il nuovo referente del gruppo. A casa di Gurrieri infatti – emerge da diverse intercettazioni – si svolgono riunioni operative che servono anche a determinare le strategie criminali. Ad un certo punto Vittorio Fiorenza finisce nel mirino dei Mirenda, dalle conversazioni captate a maggio del 2013 i fratelli minacciano la sua famiglia arma in pugno. Fortuna volle che Fiorenza non era in casa. Gurrieri diventa protagonista nella mediazione del litigio. Il “puffo” – come si comprende da una intercettazione – prende le parti dei Mirenda e consiglia a Fiorenza “di cercare altrove protezione con un laconico ma – scrive la Gip – inquietante messaggio”. Il “puffo dice a Fiorenza”: “… apposto Vittorio, dai, tu fatti la tua strada e poi mi fai sapere, dai…”.
Il collaboratore Giuseppe Scollo fornisce agli inquirenti un quadro più ampio sulle alleanze del gruppo di Galermo in relazione al capo di turno. Ad un certo punto il capo del Villaggio Sant’Agata sparisce e viene ammazzato. Con l’omicidio di Giuseppe Rizzotto avvenuto nel 2011 – secondo quanto rivela il pentito – cambiano gli equilibri. “Fino all’omicidio di Giuseppe Rizzotto detto u ciareddu questo gruppo faceva riferimento al villaggio S. Agata. Dopo l’omicidio ricordo che Fiore si avvicinò al gruppo di S. Cristoforo tanto che mi portava ambasciate di Orazio Magri e di Benedetto Cocimano. Invece i Mirenda rimasero con il gruppo del villaggio e facevano anche riferimento ad Angelo Mirabile che a sua volte sì stava alleando con gli Ercolano e con Maurizio Zuccaro”. Una situazione che fa delineare una spaccatura interna alla cupola di Cosa nostra catanese. “In sostanza in quel periodo – afferma – c’era una certa spaccatura tra il gruppo di San Cristoforo capeggiato dai Nizza, da Cocimano e Magrì e gli altri gruppi che facevano riferimento agli Ercolano ed a Maurizio Zuccaro”.
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