13 Maggio 2011, 18:54
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Ha 17 anni ed è ‘approdato’ a Lampedusa con una delle tante carrette del mare che anche in queste ore stanno giungendo sull’isola. E’ in stato di shock, e solo dopo un colloquio di alcuni minuti lo psicologo ne comprende il perché: ha visto il fratello morire dopo essere stato gettato vivo in mare per ‘alleggerire’ il barcone troppo pesante. Ci sono anche esperienze tragiche come questa tra quelle raccolte da Ignazio Accomando, psicologo dell’equipe dell’Istituto nazionale per la salute dei migranti (Inmp), di stanza a Lampedusa da alcune settimane per far fronte all’emergenza sbarchi. “Il ragazzo – racconta Accomando – era in stato di shock perché ha assistito ad una scena incredibile: il fratello è stato gettato vivo in mare da altri migranti, o dai ‘capi’ del barcone, perché era necessario alleggerire il peso dell’imbarcazione”. E dalle testimonianze raccolta, dice lo psicologo, “risulta che questo non sia l’unico caso del genere. A volte – afferma – la scelta di colui da ‘sacrificare’ dipende anche dalla religione; in questo caso si trattava di un uomo di religione musulmana”. Ma sono tantissime le storie di disperazione raccolte in questi giorni ed anche nelle ultime ore dall’esperto: “Lo stress cui queste persone sono sottoposte è fortissimo. In molti casi infatti – racconta – prima di arrivare a Lampedusa, si confrontano almeno tre volte con il rischio di morire: la prima volta nel viaggio per arrivare dai paesi sub-sahariani da cui provengono ai deserti della Libia, paese dal quale si parte per il ‘viaggio della speranza’; la seconda, nel deserto libico, dove sono spesso sotto la minaccia di bande e predatori locali; la terza, infine, affrontando la traversata in mare su barconi fatiscenti”. Quando poi il ‘sogno’ diventa realtà, e finalmente si tocca la terra ferma, molti migranti non hanno assolutamente idea di dove si trovino: “Molti ragazzi, uomini e donne – dice lo psicologo – non sapevano assolutamente di essere approdati a Lampedusa; addirittura, alcuni erano convinti di poter arrivare in Canada. Tanti sono completamente inconsapevoli di ciò che sta accadendo loro”. Ma per queste persone, sottolinea Accomando, i ‘viaggi della speranza’ rappresentano davvero l’unica possibilità di riscatto: “Per loro, l’importante è fuggire; fuggire da uno stato certo di morte o torture per una possibilità, sia pure remota, di una vita migliore”. I loro racconti, afferma lo psicologo, dicono appunto questo. Che il gioco vale sempre la candela.
(fonte Ansa)
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13 Maggio 2011, 18:54