29 Settembre 2014, 19:23
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CATANIA – “Correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che Sebastiano Scuto non fosse un imprenditore vittima” della mafia, con la quale “veniva a patti” traendo “ingenti guadagni economici per sé e la propria famiglia”, ma il “giudice d’appello non ha adeguatamente motivato le ragioni” per la quale ha “ritenuto provata l’effettiva realizzazione del ‘Grande progetto'”, ovvero l’apertura di nuovi punti vendita Despar nel Palermitano con l’auto di Cosa nostra. Lo afferma la sesta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni con cui, il 4 giugno scorso, ha annullato con rinvio a un altra Corte d’appello di Catania il processo per associazione mafiosa al re dei supermercati.
I giudici di secondo grado, il 18 aprile 2013, avevano comminato 12 anni di reclusione all’imprenditore riformando la sentenza emessa il 16 aprile 2012 dal Tribunale di Catania, che lo aveva condannato a 4 anni e 8 mesi di reclusione e assolto dall’accusa di avere gestito a Palermo centri commerciali in comune con i boss Bernardo Provenzano e i fratelli Lo Piccolo. La Corte di Cassazione ricorda che il Tribunale aveva stabilito che sul ‘Grande progetto’ era stata “pienamente dimostrata la fase ideativa”, ma “non provata la realizzazione del progetto di espansione palermitana delle attività di Scuto”. Secondo la Suprema Corte, la Corte d’appello “non ha adeguatamente motivato” la decisione “limitandosi a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle del giudice di prime cure”, e senza “considerare i contributi offerti dalla difesa”.
Secondo la Cassazione le dichiarazioni dei pentiti, ritenuti credibili e utilizzabili, “concernono fatti risalenti al 1992 e quindi soltanto alla sola fase di programmazione del ‘Grande progetto'”.
E la Corte d’appello, tra l’altro, si legge nella motivazione, “non ha ben spiegato la circostanza che in uno dei ‘pizzini’ sequestrati nel covo di Bernardo Provenzano, interessato ai supermercati a insegna Despar, il capo storico di Cosa nostra affermasse in modo netto di non avere ‘agganci’ con Catania”.
La difesa di Scuto, rappresentata dagli avvocati Guido Ziccone e Giovanni Grasso, ha sempre sostenuto che il ‘re dei supermercati’ in Sicilia avrebbe agito da “vittima di estorsioni da parte delle mafia” e che “pagava il clan per evitare ritorsioni personali”. (ANSA).
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29 Settembre 2014, 19:23