20 Gennaio 2009, 09:11
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Per spiegare la commovente abnegazione delle formichine operose che fabbricano le puntate e i destini di “Agrodolce”, basterebbe un solo particolare in chiave di metafora.
Nella parte di set che raffigura l’esterno di una villa patrizia, c’è la palma di prammatica. E – miracolo! – la mano che l’ha tirata su, ha spruzzato una sfumatura di punteruolo rosso (finto) sulle chiome, per rendere la faccenda storicamente verosimile. Ma quale Verga, ma che anticaglie… La soap di Rai Tre è clamorosamente contemporanea. Il punteruolo rosso, leader di cronache affrante, brilla, in tutta la sua virulenza. Squaderna, da cronometro vegetale, la differenza tra il dagherrotipo e lo scatto attuale.
“Agrodolce”, in fondo, è appena una soap opera, un fotoromanzo per tubo catodico. Un curioso effetto Obama (troppa aspettativa genera illusione) gli ha rovesciato addosso quintali di critiche rabbiose. Come se alla trama che raccoglie i destini dei protagonisti di Lumera e dintorni fosse affidato il compito di fornire un quadro sociologicamente ed esteticamente completo della Sicilia, una volta per tutte. Ed è nella solita paroletta magica “Sicilia” che va ricercato il crocevia degli scontri. Quando una vicenda appartiene alla categoria della sicilianità deve essere mafiosa, antimafiosa, dolente, Sciasciana, etc, etc… Qui, nemmeno per sbaglio si può azzardare una cosettina leggera: ti accusano subito di essere disimpegnato, un bozzettista di cartoline. Se invece dissemini il set ti morti ammazzati e pale di ficodindia insaguinate, ecco che, per il contrappasso, diventi “uno che fornisce un’immagine negativa dell’Isola”. La storia di Barbarossa girata a Geraci Siculo non avrebbe sollevato il medesimo vespaio. Piombando negli studios termitani delle formichine operose, si avverte una piacevole sensazione di dinamismo che non sfocia mai nella progressione maleducata e fanatica, anche se i tempi sono ristretti. I blocchi di cinque puntate si devono ingurgitare con la cadenza serrata dettata dalla produzione. Il lavoro si sussegue senza posa. “Il morale della truppa è altissimo”, spiega Renèe Cammarata, anima del progetto e interfaccia dell’universalmente noto patron, Gianni Minoli. In effetti, la curva degli ascolti è in crescita. Saranno state le polemiche? Sulla parete di un ingresso, le armi cartacee che
hanno combattuto, sui giornali, la guerra santa di “Agrodolce”. C’è l’intervento di Minoli su “Repubblica”. C’è la perplessità dell’assessore Antinoro circa la convenzione con la Regione. C’è il soccorso offerto dal presidente di Confindustria, Ivan Lo Bello. “Hanno paragonato ‘Agrodolce a Montalbano – spiega Renèe Cammarata -. E’ un’operazione disonesta. Costi e tempi non sono comparabili. Minoli ha fatto un investimento culturale serio. Abbiamo portato avanti il casting con la massima trasparenza. E, certo, Gianni Minoli non ha bisogno di dimostrare niente a nessuno. Ha voluto soltanto regalare un buon prodotto alla Sicilia”. E’ di questa “bontà” che bisognerebbe discutere senza pregiudizi. E non si riesce mai. Sulla parete, in ultimo, campeggia un pezzo dello scrittore Roberto Alajmo, che si occupa della revisione dei dialoghi. Una difesa intelligente e appassionata di uomini e cose. Renèe Cammarata non entra in argomento: magari è stato il casting ”in assoluta trasparenza” a deludere qualche aspettativa, fomentando risentimento? Magari ci sono state pressioni che tale trasparenza hanno tentato di intorbidare? (punti interrogativi e suggestioni “malignazze” attribuibili, of course, soltanto alla fantasia chi scrive). Ciak si gira. Tra le quinte, la bravissima Consuelo Lupo – Il sette e l’otto con Ficarra e Picone – che funge da coach. Tira (delicatamente) per i capelli gli attori. Insegna movenze e copione. Intorno, volti siciliani. “Agrodolce” non è la Fiat di Termini Imerese – spiega puntualmente una collaboratrice -. Eppure una ricaduta occupazionale c’è stata”. Le scene sono una meraviglia. Gli ambienti mostrano la passione di chi li ha resi verosimili. Il passaggio attraverso i vari set è un emozionante viaggio per altri mondi. La cura dei particolari salta agli occhi: i “Topolini” sistemati in un certo modo nella stanza del ragazzo, il post it alla parete, la mobilia della casa del pescatore, il commissariato con i comunicati delle sigle sindacali accanto all’armadio, la meravigliosa villa patrizia. In ogni angolo, persone indaffaratissime che corrono, montano, smontano e girano con l’entusiasmo di chi crede, corpo e spirito, al progetto. Poi c’è il colpo di scena che taglia la testa al toro, sporgendo da un ciuffetto di palma. Lui, l’abominevole garante della funzionalità dell’opera. Sua Minolità, Il punteruolo rosso.
Roberto Puglisi
Palermo, 20 gennaio 2009
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20 Gennaio 2009, 09:11