26 Marzo 2010, 11:00
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Aderisco con un pizzico di malinconia alla richiesta dell’amico Vicè per una rievocazione della partita che, per i tifosi rosanero della mia generazione, è legata al dolore più grande dopo la radiazione del Settembre Nero 1986: la finale di Coppa Italia giocata a Roma il 23 Maggio 1974 contro il Bologna. Nacque allora la mia antipatia, che sopravanza tutte le altre, nei confronti di quella squadra e il disprezzo per un individuo, Gonella di Torino, il cui nome a Palermo sarà sempre associato all’ignominia e al disonore.
Andiamo con ordine. Nell’annata 1973-74, il Palermo era appena retrocesso dall’ultima Serie A dell’era pre-Zamparini. Il 20 Maggio 1973 il Palermo pareggia 0-0 sul campo della Ternana l’ultima partita prima di un purgatorio ed un inferno durati oltre trenta anni. Quella domenica non è fatidica solo per noi. Il Milan perde per 5-3 a Verona e consegna lo scudetto alla Juventus che vince in trasferta contro la Roma con gol di Cuccureddu nel finale. Contemporaneamente, una tragedia ben più grande si consuma sulla pista di Monza: in uno spaventoso incidente alla partenza del Gran Premio delle Nazioni, muoiono due tra i più forti piloti motociclisti dell’epoca: Renzo Pasolini e Jarno Saarinen.
Il Palermo vince il girone eliminatorio della Coppa Italia 1973-74 battendo in casa la Fiorentina per 2-0 e il Perugia per 1-0 nel giorno del golpe cileno del generale Pinochet e pareggiando in trasferta 1-1 con il Bari e 0-0 con il Verona. La composizione del girone di semifinale (con Juventus, Lazio e Cesena) sembra togliere ogni speranza alla nostra squadra. L’esordio in casa contro la Juventus è vinto per 2-0 con gol di Ballabio (oggi missionario in Sud America) e Barbana. Nelle successive partite, pareggiamo a Cesena con gol di Pepe e perdiamo 1-0 su autogol di Viganò all’Olimpico contro la Lazio. Ma la partita in cui il Palermo pone le basi per l’ingresso in finale è il ritorno in casa della Juventus. Pareggiamo 1-1 con un incredibile gol di Buttini, terzino di riserva dall’andatura simile a quella di un cammello, mentre l’altra riserva Chirco si fa espellere per reciproche scorrettezze con “His Majesty” Mister Fabio Capello. Il Palermo vola in finale grazie alle due vittorie casalinghe per 2-0 contro Cesena e Lazio.
E arriviamo alla finale. I tifosi rosanero, tra cui alcuni di coloro che mi leggono e che presto scriveranno un post con su scritto “io c’ero”, invadono l’Olimpico (quello vero). Io vidi la partita in TV con mio fratello Ciccio e la buonanima di mio padre con il quale avevo litigato per settimane perché mi negava il permesso di partire. Anche se io all’Olimpico non c’ero, la superiorità di passione dei nostri tifosi mi parse subito schiacciante. Così come quella delle trame di gioco della nostra squadra.
Ecco i nostri valorosi paladini: Girardi, Zanin, Cerantola; Arcoleo, Pighin, Barlassina; Favalli, Ballabio (dal 46′ Vullo), Magistrelli, Vanello, La Rosa (dal 46′ Barbana). Essi indossavano la classica maglietta rosa e non quella, disegnata dal pittore Corrado Cagli amico personale di Viciani, caratterizzata dalla presenza sul fondo rosa di due coppie laterali di strisce nere, ribattezzate “le bretelle”. Erano solo quattro, ma quell’anno anche noi eravamo “strisciati”. O meglio, “bretellati”. Il Palermo subissò con il suo gioco gli avversari ed il gol del vantaggio, segnato intorno alla mezz’ora del primo tempo da Magistrelli di testa, fu la logica conseguenza della nostra superiorità. Durante tutto il resto della partita, non ci fu un solo momento in cui il Bologna diede l’impressione di poter pareggiare, specie dopo l’espulsione di Bob Vieri, padre del noto “cacciatore di veline”. Anzi, la nostra squadra fallì ripetutamente il gol della sicurezza con Magistrelli e Barbana.
Il successivo copione della tragedia rosanero dal titolo “Lo scippo della prima Coppa Italia” prevede due atti. Nel primo atto, ritroviamo dapprima i cori e le lacrime di gioia dei tifosi di una squadra che non aveva mai vinto niente ed alla quale si schiudevano le porte dell’accesso alle Coppe Europee, quando questo titolo non era inflazionato per esigenze televisive. Ancora, il fallo laterale a nostro vantaggio sotto la Tribuna Monte Mario invertito da Gonella. Lo scarto laterale di Bulgarelli a cercare il contatto con Arcoleo quasi sulla linea di fondo campo sul versante destro della nostra area di rigore sotto la Curva Nord: Il tuffo di Bulgarelli che crolla a terra, esanime come un pupo. Il ferale fischio e la trasformazione di Savoldi a tempo scaduto. Nel copione del secondo atto, ritroviamo la conferma della superiorità del Palermo nei tempi supplementari, l’incapacità di trasformare in gol quella superiorità ed infine la lotteria dei rigori.
I rigori, come numeri di una riffa, si “tirano” sotto la Curva Sud. Inizia il Bologna e Bulgarelli (ancora lui) fallisce il rigore ciabattando indegnamente. E qui arriva il vero capolavoro di Gonella: il tiro si deve ripetere perché Girardi si è mosso prima. In questa decisione si configura la più ampia delle dissociazioni tra il ruolo di arbitro, nel senso più “cornuto” del termine, e quello di giudice, nel suo senso più alto e nobile. (*censura*), dico io: hai appena dato un rigore a dir poco dubbio al 90° minuto contro la squadra dei valorosi paladini rosanero. Essi, in piena coscienza, meritano ampiamente di vincere. E allora, fai ciò che devi. Diventa anche tu paladino. Paladino di giustizia. Ma lui invece è un pupo. Lui è solo un arbitro e compie un altro arbitrio: fa ribattere il rigore e il Bologna va in vantaggio. Pareggiamo i conti con Sandro Vanello, bello di viso e nobile di stirpe. Si presenta sul dischetto per il Bologna Cresci, stopper grezzo. Seduto accanto a mio padre, prego Santa Rosalia e gli dico “Questo lo sbaglia”. E Cresci sbaglia: il grande Sergio Girardi vola sulla sua destra e para. I tre successivi rigori vengono segnati da Sergio Magistrelli per noi, ancora da Savoldi per loro e da Giorgetto Barbana per noi. Stiamo, con i gol nei tempi regolari, 4-3 per noi e si devono ancora battere due rigori per parte. Il primo lo segna Novellini, che alcuni anni più tardi concluderà la carriera nel Palermo. Si avvicina sul dischetto Totò Vullo da Favara, fluidificante beniamino di mio fratello Ciccio dal cuore mai domo, ma dai piedi un po’ ruvidi. Il tiro è così potente e alto da rischiare di abbattere una rondine in gita primaverile all’Olimpico. Stiamo 4-4 e tira Pecci, quello che quando con la sua lingua di pezza commentava le partite in TV induceva nel mio dito indice un moto immediato verso il tasto “mute” del telecomando. Gol. 5-4. Siamo in svantaggio.
“Papà, non piangere. Non è successo niente. Adesso Erminio segna e mette le cose a posto”. Non so se mio padre lassù ha già incontrato Erminio Favalli. Se è accaduto, di certo gli avrà ricordato quell’ultimo tiro maledetto. Quello che finì sulla traversa con il portiere “Buster Keaton” Buso già a terra. E chissà se lassù insieme a loro, a ricordare quella partita, ci sono anche Ferruccio, Totino e il grande Renzo, signore di tutti i Presidenti. Di lui, la leggenda narra che alla fine della partita, rivolgendosi a Gonella mentre gli faceva omaggio di un pupo siciliano, disse: “Questi a Palermo li chiamiamo paladini o pupi. Oggi, per lei, è soltanto un pupo”. Più in là, immagino Giacomo Bulgarelli che se ne sta seduto in disparte, pentito. Così solo e triste, sembra un pupo abbandonato. Però di certo nessuno degli altri se la prende più con lui per quelle malefatte. Lo avranno già perdonato. Tutti loro sanno quanto siano sagge le parole di Totò nella sua “’A livella” “nuje simmo serie…appartenimm’à morte”.
Ma noi no. Grazie al Cielo, siamo vivi e ancora peniamo per cose meno serie, come il calcio. Ed io oggi sono qui a ricordare una delle più grosse ingiustizie della storia del calcio italiano. Quella che il Giornale di Sicilia del giorno seguente sintetizzò titolando: “Il Bologna brinda nella Coppa del Palermo”. E a raccontare ai miei più giovani compagni di fede e di passione di quel caldo e gelido pomeriggio di primavera quando girai per ore senza meta per Palermo con il mio Vespino grigio rischiando di sbattere e di cadere a terra perché i miei occhi erano pieni di lacrime di rabbia e di dolore.
Ragazzi, sabato sera c’è il Bologna. Ricordate. Anche se non eravate ancora nati.
Un abbraccio rosanero dal vostro Vitogol.
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26 Marzo 2010, 11:00