15 Aprile 2013, 17:44
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Il giorno del grande ritorno in tv del commissario più amato dagli italiani è arrivato: stasera alle 21.10 andrà in onda su Rai 1 l’episodio “Il sorriso di Angelica” e gli appassionati dei romanzi di Andrea Camilleri potranno rivivere le gesta del commissario Montalbano grazie all’interpretazione del magistrale Luca Zingaretti. “Il sorriso di Angelica” è il primo dei nuovi quattro episodi che la Rai trasmetterà da stasera ogni lunedì e narra una delle avventure più eclatanti di Salvo Montalbano, che per la prima volta tradirà l’amata Livia perdendo la testa a sua volta per un sospetto tradimento. E in un climax ariostesco, la giovane per cui Montalbano perderà la testa si chiama proprio Angelica: a interpretare l’antagonista di Livia – che in questa serie avrà il volto di – è Margareth Madé, bellissima modella siciliana.
In attesa di scoprire cosa succederà nella vita amorosa del commissario e di sentirgli dire “Montalbano sono”, vi proponiamo un’intervista di Gaetano Savatteri a Luca Zingaretti, pubblicata sul mensile I love Sicilia nel novembre 2012. L’attore si trovava proprio sul set dei nuovi 4 episodi.
Zingaretti, questo matrimonio nelle terre del Montalbano televisivo segna ormai il tuo legame indissolubile con la Sicilia… “È così. Con Luisa ci siamo conosciuti proprio in Sicilia, sul set di “Cefalonia”, molte scene infatti erano girate sulle spiagge siciliane. E qui passiamo molti mesi all’anno. È stato naturale pensare di sposarci in Sicilia”.
La prima serie di Montalbano risale a oltre dodici anni fa. Adesso sei tornato di nuovo in quella casa affacciata sul mare siciliano. È cambiato qualcosa? “Guarda, dodici anni fa questa sembrava una Sicilia antica, molto simile a quella dei ricordi di Camilleri. Quando sono arrivato per la prima volta mi pareva di stare in un luogo dove il tempo si era fermato: il sorriso della gente, l’ospitalità, la disponibilità la facevano somigliare a un’Italia degli anni Cinquanta. Adesso le cose sono molto cambiate…”
Anche grazie a Montalbano c’è stata una forte impennata turistica nel sud-est siciliano… “Direi soprattutto grazie a Montalbano. Ma al di là della crescita turistica, questa Sicilia ha mantenuto lo spirito di allora, la gente ha conservato la sua anima sincera e accogliente. È una Sicilia speciale”.
Cinque anni fa avevi detto che avresti smesso con Montalbano. Adesso sei ricaduto nel vizio… “È vero, avevo detto che non avrei più interpretato Montalbano. Ma in questi anni mi sono mancate molte cose. Non solo un ruolo così forte e affascinante per un attore, ma mi sono mancati soprattutto i miei inverni siciliani. L’inverno qui, quando giriamo le riprese, ha un’atmosfera particolare e unica. E quindi sono tornato”.
Dunque, non minacci più di abbandonare il commissario? “Interpreterò Montalbano fin quando continuerò a divertirmi. E ancora mi diverto”.
Com’è questo Montalbano? Dagli ultimi libri di Camilleri viene fuori un commissario più amareggiato, forse più deluso che nel passato. Sono sentimenti che passano anche nella tua interpretazione? “Il Montalbano di Camilleri ormai ha quasi sessant’anni. Io invece ne ho cinquanta e mi sento in un’età speciale. È chiaro che il mio Montalbano non è più quello di dieci anni fa, ma è ancora nel pieno delle sue forze e del suo entusiasmo. Certo, i primi romanzi di Camilleri sono stati scritti a metà degli anni Novanta, quando il panorama era molto diverso, le speranze che le cose cambiassero erano molto forti. Adesso queste speranze sono minori ed è più difficile pensare a un futuro migliore”.
Eppure, proprio in Sicilia, quegli anni Novanta erano molto cupi: da poco c’erano state le stragi, la mafia sembrava fortissima. Adesso, in Sicilia ci sono reazioni della società civile che vent’anni fa erano inimmaginabili… “Molte cose sono successe da allora. Malgrado la situazione generale non induca all’ottimismo, c’è stata in Sicilia e anche nel resto del paese una sensibilizzazione nuova sui temi della legalità e dell’antimafia. E questo è sicuramente un buon segno”.
Hai interpretato Paolo Borsellino, il giudice che nei 57 giorni tra l’uccisione di Giovanni Falcone e la sua morte, disse di avere visto la mafia in diretta. Oggi in Sicilia non si ammazza più, ma le mafie economiche prendono piede nel resto d’Italia e d’Europa. “Dopo la strage di Duisburg tutti hanno ormai capito che le mafie non hanno confini. Lo avevano intuito anche Falcone e Borsellino che la mafia stava sbarcando a Piazza Affari, a Milano. Come dicevamo prima, questa sensibilizzazione ormai è molto diffusa. L’unica cosa che sconcerta è l’atteggiamento della nostra classe politica negli ultimi vent’anni, sempre disposta a favorire le mafie e il loro potere, concedendo al malaffare la possibilità di continuare a regolare la vita sociale tra i cittadini. Negli ultimi vent’anni sono state approvate leggi che indeboliscono la lotta alla mafia. Anzi, in alcuni casi la favoriscono. Per non parlare della corruzione, dei furti legalizzati, delle ruberie generalizzate. Insomma, la nostra classe politica ha lavorato bene in questi vent’anni per continuare ad assicurare l’impunità ai corrotti e ai mafiosi”.
Da Montalbano a Borsellino il passo è lungo. Uno è un personaggio letterario che si muove in una Sicilia solare, l’altro un giudice coraggioso stretto in una Palermo plumbea… “La Sicilia di Camilleri è letteraria, legata alla sua memoria di un’Isola che forse non c’è più. La Palermo di Borsellino è tragica, scura e minacciosa. Ma la Sicilia è la Sicilia”.
Questo si sa… “Voglio dire che la Sicilia è una terra con una fortissima identità che ha prodotto personalità grandissime. Una regione a forti chiaroscuri, che può esprimere un Totò Riina e un Paolo Borsellino. Una terra di tragedia antica, dai sapori fortissimi. La Sicilia è un luogo ad alta densità di storie ottime da raccontare e, per un attore, di ruoli eccezionali da interpretare”.
Perfino nella fotografia, la fiction su Paolo Borsellino restituisce una Sicilia da tragedia piena di complotti. “Il percorso di Borsellino è una sfida non solo contro la mafia, ma contro i centri occulti di potere. Nel 1989, quando Falcone scampò all’attentato dell’Addaura, parlò di ‘menti raffinatissime’. Allora molti, me compreso, non capirono cosa volesse dire. E quei pochi che capirono gli dettero addosso. La stessa cosa accadde a Borsellino, dopo la strage di Capaci: fu tradito, vide la mafia in diretta, capì che contro di lui non c’era solo Cosa Nostra, ma centri di potere, pezzi deviati dei servizi segreti, uomini infedeli annidati nelle istituzioni. Da sempre, a partire dalla strage di Portella delle Ginestre, non c’è episodio che non veda in azione i servizi segreti deviati. Anche nelle indagini sulla strage di via D’Amelio si sono attivati per depistare l’inchiesta. È inquietante sapere che forse non riusciremo mai a raggiungere la verità…”
Detta così è difficile poi spiegare alla gente, magari ai più giovani, che bisogna credere nello Stato. “Io non ho mai detto che bisogna credere nello Stato. Io dico: pensiamo con la nostra testa, pensiamo che lo Stato ci appartiene, combattiamo il luogo comune per cui la politica è sempre roba sporca da affidare ai professionisti dell’imbroglio. Insomma, battiamoci contro una classe politica che ci fa somigliare a dei sudditi più che a dei cittadini”.
La storia di Borsellino racconta anche di veleni e contrasti dentro il palazzo di giustizia. Ancora oggi, tra diversi magistrati dell’antimafia si registrano polemiche anche aspre. Non c’è il rischio che tutto questo si trasformi in un teatrino che indebolisce il fronte antimafioso? “I dissidi tra magistrati sulle indagini da fare, sui metodi di lavoro, sono normali e per certi versi è anche giusto che ci siano e vengano allo scoperto. Il problema è che spesso dietro queste polemiche ci sono seminatori di zizzania, fabbricatori di dossier, operai della fabbrica del fango che puntano a dividere e a creare confusione. Le polemiche sono una cosa, i veleni sparsi ad arte sono un’altra cosa, appartengono a quella lunga storia di centri di potere e servizi deviati che hanno scritto le pagine più scure di quest’Italia”.
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