11 Febbraio 2016, 07:13
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CATANIA. L’accusa è di quelle pesanti: concorso esterno in associazione mafiosa. Una macchia tremenda che riguarda due legali finiti ieri in carcere nell’ambito dell’operazione i “I Vicerè”: il blitz che ha spedito in galera oltre 100 persone. Salvatore Mineo e Giuseppe Arcidiacono si sarebbero ritagliati un ruolo determinante nell’organigramma dei Laudani: il clan azzerato con gli arresti di ieri.
I FATTI. Salvatore Mineo avrebbe contribuito grazie alla sua posizione professionale di avvocato ad agevolare le attività illecite della “famiglia”. Secondo gli investigatori avrebbe fatto da tramite tra i detenuti (suoi assistiti) e gli affiliati in libertà: le notizie le apprendeva nel corso dei colloqui in carcere in cui avrebbe favorito anche incontri tra sodali. L’accusa più inquietante è quella che avrebbe consegnato agli affiliati in libertà copie di file contenenti atti coperti da segreto d’ufficio. Tra i documenti secretati che sarebbero stati, poi, consegnati a Claudio Daniele Magrì (arrestato anch’egli all’alba di ieri), vi sarebbe l’informativa “Baraonda 2010”: inchiesta con la quale la magistratura inflisse un duro colpo alla cellula dei Laudani operante a Paternò. Per diritto di cronaca, va detto che le contestazioni a carico di Mineo fanno riferimento ad un periodo che si conclude nel novembre del 2013. Secondo le accuse degli inquirenti Mineo, che risulta essere residente a Santa Maria di Licodia (dove ha ricoperto anche la carica di vice-sindaco) sarebbe uomo vicino e legato a Vincenzo Morabito, esponente di spicco – quest’ultimo – dei Laudani a Paternò. Sono molte le intercettazioni telefoniche tra i due inserite nell’apparato probatorio a carico dell’avvocato. A inchiodare il legale è stato il collaboratore di giustizia Giuseppe Laudani che lo ha anche riconosciuto in foto e che nel corso di un interrogatorio ha svelato il meccanismo di mediatore svolto da Mineo tra i vertici del clan ed il gruppo malavitoso di Paternò (“Scrivevo delle lettere – racconta il pentito ai magistrati – che facevo consegnare dall’avvocato Mineo a Morabito o a Tocra”). Ma Mineo avrebbe anche organizzato delle vere e proprie riunioni tra i boss nella sala d’aspetto del carcere.
A parlare dell’avvocato Giuseppe Arcidiacono (le contestazioni sono datate 2010) sono Giuseppe Laudani, Nazareno Anselmi e Carmelo Riso. Sempre secondo Laudani, Arcidiacono avrebbe avuto ottimi rapporti con i carabinieri e sarebbe stato capace, attraverso pagamenti di denaro, di evitare il sequestro di alcune vetture appartenenti allo stesso pentito. . Non solo: Arcidiacono avrebbe informato il suo assistito (Laudani per l’appunto) di arresti imminenti e indagini a suo carico. “Arcidiacono lo conoscevo già dal 2004 e conosceva tutta la mia famiglia: l’avvocato Mineo lo conosco dal 2008 ma aveva rapporti solo col gruppo di Paternò. L’avvocato Arcidiacono non andava d’accordo con “Iano il piccolo” dei Laudani”. Ed il collaboratore di giustizia evidenzia anche le limitazioni d’aiuto di Mineo in quanto “conosceva solo Santa Maria di Licodia e Paternò”.
Tra i brogliacci delle intercettazioni anche una telefonata tra Arcidiacono e una collega, nella quale il legale commenta preoccupato la notizia del pentimento di Giuseppe Laudani a proposito di quanto potesse dichiarare.
Coinvolto nel calderone dell’inchiesta “I Vicerè”, spunta anche il nome di un carabinieri. Si tratta di Alessandro Di Mauro al quale è contestato il reato di “accesso abusivo a sistema informatico aggravato” in quanto avrebbe favorito il clan accedendo e divulgando dati prelevati dal sistema detto S. D. I., senza alcuno scopo investigativo bensì per favorire i Laudani. Il reato sarebbe stato commesso nel 2008 quando Di Mauro era comandante di Stazione a San Giovanni La Punta.
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11 Febbraio 2016, 07:13