11 Marzo 2018, 05:02
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CATANIA – Un killer spietato. Efferato. Senza scrupoli. Senza pietà. “Mi occupavo di omicidi”. Come se fosse un lavoro come un altro. Carmelo Aldo Navarria, denominato lo “spazzino” dei Malpassotu, firma decine e decine di pagine di verbali che il mensile “S” presente in tutte le edicole pubblica integralmente. Svela i segreti della mafia degli anni Ottanta prima del suo ingresso in carcere per scontare l’ergastolo.
“Oltre gli omicidi per i quali sono stato condannato ho anche preso parte ad un duplice omicidio”, precisa. Di questi delitti però manca la verità processuale. Carmelo Aldo Navarria rivela l’organigramma del clan Santapaola-Ercolano e dei suoi alleati in provincia. Perché quando lo “spazzino” esce dal carcere nel 2014 non sceglie di cambiare vita ma ha già pronto il trono di referente per Belpasso. In pochi mesi agguanta gli affari. E semina altro sangue.
Il conto da pagare con la giustizia arriva presto. Con pesanti accuse e condanne decide di fare il salto del fosso e diventare un pentito della mafia. Un percorso molto travagliato il suo. Almeno così racconta il killer. “Dopo il mio arresto io cominciai a dire alle mie figlie che volevo collaborare con la giustizia, e ricordo che mio genero Gianluca Presti anche diceva di volere fare questo passo. Mia moglie inizialmente era contraria e mi disse che se mi pentivo mi lasciava perché aveva paura anche per la mia famiglia”.
Ci sarebbero stati dei tentativi di collaborare anche in carcere prima di tornare un uomo libero ma “poi rimanendo a Belpasso – racconta – ho ripreso la cattiva strada e poi solo ora ho deciso di collaborare pienamente”. “Quando sono uscito dal carcere – precisa – io volevo cambiare vita ed andare via da Belpasso ed io pensavo di andare in Germania a lavorare da un mio vecchio amico. Io sapevo che se rimanevo a Belpasso non avrei potuto sottrarmi dal proseguire con il mio ruolo nell’associazione mafiosa non essendo mai uscito dalla stessa. I miei familiari non erano tutti d’accordo e quindi restammo ed io diventai presto il reggente del clan a Belpasso sino al mio arresto nel novembre 2015”.
La scelta definitiva arriva dopo l’accusa per l’omicidio di Renato Caponnetto, un commerciante paternese scomparso nel nulla e poi ucciso per motivi abbietti. Navarria ha programmato una trappola mortale: lo ha ucciso e poi bruciato. Un cadavere trasformato in cenere.
A quel punto si mette in moto un sistema di comunicazione che parte dal carcere e finisce al cuore della cosca. Le grate non sono un ostacolo. Nemmeno per fare carriera criminale. “Mentre ero in carcere – spiega il killer – la mia posizione nel clan mafioso è certamente cresciuta ed io sono diventato man mano un punto di riferimento. Nel tempo io avevo contatti e rapporti con moltissime persone del clan mafioso ed anche se fuori operativamente vi erano altri ad agire io comunque venivo messo a conoscenza di ciò che accadeva e dicevo sempre la mia opinione che era sempre molto considerata. Proprio per questo mio ruolo e per la fiducia che avevano in me sono venuto a conoscenza di molti fatti che mi sono stati raccontati da altri detenuti nel corso degli anni. Io prima di essere detenuto al carcere di Benevento circa dal 2010 al 2014 sono stato per circa 10 anni al carcere di Livorno. Durante la carcerazione a Livorno, non ricordo di preciso l’anno ma era subito dopo l’arrivo al carcere di Livorno di Claudio Strano e di Nino Santapaola, detto u pazzu. Nino Santapaola mi disse che Claudio Strano era del clan del gruppo di Monte Po con Alfio Mirabile ed Alessandro Strano”.
È quello il lasso di tempo in cui la famiglia Navarria non avrebbe percepito lo stipendio. Ma Claudio Strano, all’epoca ancora nelle file dei Santapaola (la migrazione dei fratelli Strano al clan Cappello-Carateddi avviene infatti dopo il 2007, ndr) si sarebbe preso l’incarico di risolvere la questione. Continua a leggere sul mensile “S” disponibile in tutte le edicole.
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11 Marzo 2018, 05:02