29 Aprile 2013, 10:52
6 min di lettura
Quando l’arbitro Orsato con un gesto solo butta fuori prima Sannino e subito dopo Perinetti, intervenuto per mediare (“Gli ho solo detto che Sannino non ce l’aveva con lui, voleva solo incitare i suoi giocatori: lui è un po’ teatrale, l’area tecnica gli sta troppo stretta e allora per farsi sentire dai giocatori, la oltrepassa. Ma l’arbitro non ha sentito una sola parola di quel che gli dicevo e ha buttato fuori anche me!”), i tifosi hanno intonato un coro tutto nuovo e da brivido: “Sannino… Esiste solo Sannino”.
I tifosi, si sa, adorano i propri eroi, specie quelli che ritengono vittime di ingiustizia e la cacciata di Sannino, il loro allenatore, il guerriero che ha prima scovato e poi esaltato l’anima rosanero nei suoi giocatori, cos’è stata per loro se non un atto di gratuita prepotenza? La prepotenza di un arbitro in trance da protagonismo, un signorotto con lo sguardo altero, che impone la sua legge in campo e guai a discuterlo: lui non ci pensa un attimo a buttar fuori chi si ribella. Pochi minuti dopo il doppio colpo Sannino-Perinetti è la volta del mite Paleari, il preparatore dei portieri del Palermo: lo conosco da una vita e non mi sembra certo il tipo del tarantolato da panchina, non l’ho mai sentito alzare la voce, neanche davanti ad un errore marchiano dei suoi portieri.
Chissà? La partita, pur aspra e combattuta, stava filando via liscia come l’olio e questo non deve esser piaciuto a un protagonista per forza come Orsato. Che è senz’altro un buon arbitro, se ogni tanto non venisse colto dalla letale sindrome del “Qui comando io. Solo io!”. Ma , Orsato a parte, quella di ieri è stata una vera battaglia, almeno per gli undici (poi quattordici) rosanero in campo, il tipo di partita preferito da Sannino, che l’ha detto e ripetuto fino all’esaurimento: “Giunti a questo punto, la tecnica e la tattica contano poco. Ci vuole il cuore, serve lottare su ogni palla, serve giocare da squadra dal primo al’ultimo minuto”. Ed è quello che sta facendo il Palermo da quando lui se l’è ripreso, che gliel’avevano strappato dalle mani senza neanche spiegargli perché, con la “scusa” di aver perso due partite su tre, le prime della stagione, pareggiando in casa la terza. Il fatto, poi, che le due partite perse erano quelle col Napoli in casa e la Lazio all’Olimpico, evidentemente non contava. E invece avrebbe dovuto contare; avrebbero dovuto lasciarlo al suo posto, il bravo Sannino: bravo perché crede nel suo lavoro, bravo perché conosce alla perfezione i suoi giocatori, bravo perché conosce alla perfezione i suoi limiti e quelli della squadra.
Ma, dei suoi ragazzi, conosce anche le potenzialità, solo che venissero stimolati nelle corde giuste e lui qui è un maestro, uno che sa bene che, se vuoi far rendere al massimo un giocatore, devi prima carpirgli l’anima, conquistarti la sua fiducia, la sua stima. E da come sta giocando il Palermo da quando lui è tornato appare chiaro a tutti, anche a chi non vuol vedere, che di questa squadra – che poi la stessa di quando è stato cacciato via (a parte Aronica e Sorrentino) – lui è diventato il padrone e il signore. Nel significato più bello e nobile del termine “padrone e signore”, che è come dire che Sannino spiega le cose e i suoi giocatori lo ascoltano con religiosa attenzione e poi eseguono alla grande, anche al di là dei propri limiti tecnici. Che ci sono, non sono mica scomparsi per virtù di una bacchetta magica che non esiste, neanche nelle mani fatate di Sannino: esiste solo la sua pertinacia, la sua fede nel lavoro, la sua disciplina tecnica e professionale, ma non solo: mettici pure il suo parossismo morale, quel predicare fino allo stordimento (e/o esaltazione) i suoi concetti di applicazione, spirito di sacrificio, umiltà e lavoro.
Lavoro, lavoro e ancora lavoro, dal lunedì fino alla partita successiva. Ecco il segreto, se di segreto vogliamo parlare: Sannino è riuscito in poco più di un mese a far capire ai suoi ragazzi in quale ginepraio erano andati a cacciarsi e ha avuto la pazienza, la tenacia e il coraggio di convincerli che c’era ancora tempo e modo per venirne fuori.
Ma queste cose le dicono un po’ tutti gli allenatori in difficoltà (“La matematica ancora non ci condanna, dobbiamo giocare ogni partita come fosse la partita della vita, provarci fino all’ultimo…”) sembrano frasi fatte e lasciano quasi sempre il tempo che trovano. Tranne che se ti imbatti in un allenatore vecchio stampo come Sannino, uno che si è fatto da sé, dopo lunga, dura gavetta (calcio giovanile, squadre campionato dilettanti e Varese, tanto Varese, portato dalla serie C2 alle soglie della serie A, con due spareggi play off, svaniti per un soffio) e al quale nessuno ha mai regalato niente. In bocca ad uno come Sannino le frasi fatte diventano perle che brillano anche al buio, perché arrivano direttamente dal suo cuore di mister ispirato, che crede solo nella lotta, nel lavoro, nella disciplina.
Restano ancora quattro partite e affiancato al Palermo c’è il Genoa, con la sua squadra che, per me, è quasi uno squadrone, a leggerne, uno a uno, i giocatori che la compongono. Eppure è lì, a 32 punti come noi e cinque giornate fa aveva cinque punti di più. Insomma, un’asperrima battaglia lunga trecentosessanta minuti. Non è solo una questione di tecnica, perché in tal caso la partita sarebbe persa in partenza – visti i vari Borriello, Frey, Matuzalem, Bertolacci, Rigoni, Floro Flores, Immobile, Antonelli, Kucka, tutti giocatori di valore, campioni o giù di lì – perché è anche, se non soprattutto, questione di carattere, cuore, convinzione e capacità di sacrificio: qui Sannino e i suoi discepoli non temono proprio nessuno. Nemmeno la Juve, campione d’Italia, domenica prossima, che a guardare i suoi numeri e i suoi fuoriclasse verrebbe voglia di non scendere neanche in campo. E chi spera che la Juve ci accoglierà con i guanti di velluto perché le basta un punto per la matematica conquista dello scudetto, vi rimando alle parole di Marchisio, subito dopo la vittoria sul Torino: “Domenica in casa col Palermo festeggeremo lo scudetto ma, attenzione, i rosanero vogliono salvarsi e, quindi, non verranno qui per una gita di piacere!”.
Io non so se Sannino e i suoi ragazzi riusciranno a compiere l’impresa, io so solo che con uno come Sannino tutto è possibile. Uno così non lo fermi neanche buttandolo fuori, perché lui, pur di sentirsi ancora vicino ai suoi ragazzi, si inventa seduta stante una postazione di fortuna, che sembra più una cella di costrizione: la distanza è enorme e ha le sbarre davanti alla faccia, come un carcerato, e d’intorno il fragore è assordante… E la sua voce, dopo tanto urlare, è diventata quasi un fil di voce, ma lui non se n’accorge, lui continua, continua, continua…
Pubblicato il
29 Aprile 2013, 10:52