21 Settembre 2014, 07:01
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CATANIA. A Catania se vuoi vincere le elezioni (qualsiasi elezione) devi avere in mano Librino. E’ una ignobile regola non scritta. E’ un marchio di fabbrica. Un assunto che si fonda sulla scienza del pallottoliere e dell’affarismo. Sulla pelle di quella popolazione di oltre 80 mila abitanti che diventa improvvisamente il centro della città, il fulcro di tutto, e che fa sbavare l’acquolina all’aspirante e premuroso candidato di turno. L’esito delle urne fa tornare, poi, Librino a quello che era prima: un luogo che nella mente dell’eletto o del trombato semplicemente non esiste. Arranca Librino. A quarant’anni di distanza dall’urbanizzazione pensata dal designer del Sol Levante, Kenzo Tange, qui il tempo sembra essersi fermato. Anzi, si è trasformato nel nemico più grande degli abitanti di Librino. Altro che la nuova Milano 2.
Nato nel nulla, continua a vivere nel nulla Librino. E dire che, recentemente, l’inserimento tra le Zone Franche Urbane era stato accolto come una vittoria. L’occasione del definitivo rilancio: sotto la compensazione degli sgravi fiscali, il quartierone avrebbe goduto del sorgere di nuovi negozi e della ricezione di nuovi servizi. “Nuovi insediamenti per cambiare il volto del quartiere”, venne detto. Vita nuova, insomma. Mancavano solo le bollicine per il brindisi. Ebbene, il risultato finora è stato a dir poco deprimente. Il numero di società ed associazioni che hanno trasferito la loro sede a Librino è impressionante: ma – a parte rare eccezioni -, sinora, l’unico vantaggio sembrano averlo ottenuto gli stessi presidenti e cda delle società. Per loro, un risparmio di migliaia e migliaia di euro sulle tasse per 5 anni. Per gli abitanti di Librino, invece, nessun cambio di fisionomia al quartiere. Un effetto placebo che rischia di favorire i soliti furbetti. Una Zfu più cartacea che reale.
Manca l’anima a Librino. Manca la quotidianità a Librino. Manca un vigoroso programma di riqualificazione. Mancano punti d’incontro, luoghi dove socializzare: che poi è quello che più fa paura alla criminalità organizzata. Persino la chiusura del famigerato Palazzo di cemento non ha cambiato di una virgola le cose: quello spaccio che prima accadeva sotto gli occhi tutti, oggi prosegue sottotraccia. Semplicemente, a Librino serve la presenza costante delle istituzioni. Una presenza fissa: senza deleghe o operazioni a distanza. Che bello sarebbe stato, tanto per far un esempio, che qualcuno delle decine di momenti culturali ospitati – in questa estate – nei luoghi deputati del centro cittadino fosse stato ospitato a Librino. Non si chiedeva mica Caparezza.
Tuttavia, i segnalali di incoraggiamento ci sono. Arrivano dall’impegno costante delle Forze dell’Ordine. Dall’inesauribile lavoro delle associazioni di volontariato che operano giornalmente con sacrificio senza nulla pretendere. E di recente, da Palazzo degli elefanti è stato annunciato il recupero di Villa Fazio e dell’area di San Teodoro. E’ pur sempre qualcosa. Ma non può bastare. E la Cittadella della giustizia? Ed il Teatro Moncada? E l’ospedale San Marco? Librino sogna da anni la svolta. Passare dall’arrancare al correre. Dalla depressione all’entusiasmo. Non più impantanati nel dubbio ma storditi dalla speranza. Ma fino a quando le istituzioni non decideranno di sbarcare sul serio a Librino, tutto questo non avverrà. E l’azienda mafia avrà ancora un futuro promettente.
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21 Settembre 2014, 07:01