21 Luglio 2020, 13:04
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PALERMO- Di Mario Bignone ricordi soprattutto la semplicità che era la cifra più sincera della sua grandezza. Dopo l’arresto di un latitante, operazione che aveva richiesto tanti giorni di fatica e di pazienza, dava sempre il merito ai suoi uomini. Così fa un capo: riconosce il coraggio di chi ha sofferto e lavorato nell’ombra, sottraendosi a un meritato applauso. E sorrideva, Mario. Con sorrisi che si annoverano nell’elenco delle cose indimenticabili incontrate nella vita. Ti coinvolgevano, offrivano una consapevole leggerezza. E il mondo sembrava un posto migliore.
Sono ormai dieci anni che manca a tutti il sorriso di Mario Bignone, il capo della Catturandi della squadra mobile di Palermo. Aveva quarantaquattro anni. Era un cacciatore di latitanti implacabile. La cattura di Domenico Raccuglia e Gianni Nicchi sono tra gli esempi di un lavoro portato avanti senza tentennamenti, né pause.
Raccontare del coraggio di Mario significa anche raccontare il coraggio e l’amore di sua moglie Giovanna, una splendida compagna di vita. “Sono orgogliosa di essergli stata accanto nell’ultimo respiro. Per mesi non ho dormito – diceva lei, ripercorrendo la storia, qualche anno fa (leggi qui) – . Abitava sempre in attici. Gli piaceva stare in alto. Una volta mi disse che aveva paura dell’altezza. ‘E come mai stai nell’attico?’. ‘Perché amo le nuvole. Voglio stare vicino alle nuvole’. ‘Va bene, amore mio. Quando sarai sopra una nuvola, io ti rincorrerò’”.
Nell’ultima occasione di incontro, salutando i giornalisti presenti, Mario era allegro: “Ci vediamo presto”. Uscì, torno sui suoi passi precipitosamente perché aveva dimenticato la pistola d’ordinanza. La prese, ci guardò con i suoi occhi di bambino buono. E sorrise. Quel sorriso è sempre con noi.
(Nella foto Mario Bignone con la moglie Giovanna Geraci in una foto tratta dall’album di famiglia)
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21 Luglio 2020, 13:04