17 Giugno 2013, 07:23
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Brindisi, festeggiamenti, carnevali di Rio, hip-hip-hurrà: Antonio Ingroia lascia la magistratura. Fuori un altro pm bravo, un rompipalle in meno. Metti che, dopo Dell’Utri, Contrada e centinaia di mafiosi, facesse condannare qualcun altro disturbando le larghe intese con processi divisivi. A onore di Cosa Nostra, va detto che l’esultanza dei picciotti è stata molto più contenuta di quella di certi magistrati e del Csm. “Ingroia lascia la politica? Ce ne faremo una ragione”, ha commentato entusiasta Michele Vietti, per anni compagno di partito di Totò Cuffaro, dunque vicepresidente del fu autogoverno dei giudici.
Incontenibile il giubilo di Vittorio Borraccetti, celebre per inchieste trionfali tipo Unabomber, dunque leader di Magistratura democratica e membro del Csm: “Ingroia ha danneggiato la magistratura e la credibilità di quello che ha fatto prima” e le sue accuse al Csm di averlo messo sotto tiro per le sue indagini è “inaccettabile: nessuno l’ha punito né ha ostacolato l’indagine sulla trattativa”. A parte il Colle, il Pg della Cassazione, il Csm e l’Anm, s’intende. Molto felice anche il segretario dell’Anm, Rodolfo Sabelli: se il Csm ha spedito Ingroia ad Aosta non è “una ritorsione, ma solo l’applicazione della normativa vigente”.
Ecco, vediamola questa normativa. Un magistrato può candidarsi dove vuole, ma non è eleggibile dove ha esercitato le funzioni. Ingroia, leader nazionale di Rivoluzione civile, si candida in tutta Italia fuorché in Val d’Aosta, ma sa di essere ineleggibile a Palermo dov’è stato pm fino a tre mesi prima. Poi non viene eletto da nessuna parte e rientra dall’aspettativa. Il Csm lo destina ad Aosta, unico circondario giudiziario dove non era candidato. Ma, per farlo, infrange la sua circolare del settembre 2012 che vieta il rientro ai magistrati non nel circondario, ma nel distretto giudiziario dov’erano candidati: e Ingroia era candidato anche in Piemonte, cioè nel distretto di cui fa parte Aosta. Dunque, stando alla circolare, non può andare neppure ad Aosta.
Ingroia suggerisce una soluzione più consona alla sua competenza che, per giunta, non viola alcuna regola: c’è un posto libero alla Direzione nazionale antimafia (Dna), mandatemi lì. Il precedente di Piero Grasso parla chiaro: Grasso s’è candidato a Roma come capolista Pd al Senato, sebbene fino al giorno prima esercitasse le funzioni a Roma come capo della Dna: sarebbe ineleggibile, ma il Csm gli consente di essere eletto perché la Dna ha sì sede nella Capitale, ma è extraterritoriale (nazionale) senza compiti investigativi: si limita a coordinare le indagini dei vari pool.
Il principio dovrebbe valere per tutti, anche per Ingroia. Invece no: per il Csm la Dna è extraterritoriale per Grasso, ma non per Ingroia che, essendosi candidato a Roma, non può andare alla Dna. La legge è uguale per quasi tutti. Sempre a proposito di “applicazione della normativa vigente”, c’è il caso – già segnalato da Tinti – di due collaboratori della ministra della Giustizia Cancellieri: Domenico Carcano, capo dell’Ufficio legislativo, e Renato Finocchi Gersi, capo di gabinetto. Sono due toghe di Md, fuori ruolo rispettivamente da 15 e da 13 anni (il primo alla segreteria e all’ufficio studi del Csm, il secondo alla Consulta e poi al ministero della Salute). In base a una circolare varata a marzo dal Csm, nessuna toga può restare fuori ruolo per più di 10 anni, né aggirare il divieto mettendosi in aspettativa.
Dunque i due, in base alla “normativa vigente”, non potrebbero lavorare al ministero: dovrebbero tornare a fare i giudici. Ma il Csm viola un’altra volta le regole che s’è dato e li autorizza a mettersi in aspettativa con deroga ad personas (votata anche da Borraccetti). Così, i due avranno lo stipendio dei dirigenti apicali dello Stato, 240 mila euro lordi l’anno, molto più di quello che guadagnerebbero da fuori-ruolo. Al Tartufo Superiore, le regole per gli amici si interpretano e per gli Ingroia si applicano. Anzi, si infrangono.
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17 Giugno 2013, 07:23