10 Maggio 2010, 19:30
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ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE
ROMA
L’Assemblea Regionale Siciliana, nella seduta dell’1 maggio 2010, ha approvato il disegno di legge n. 471- 471bis- 471ter dal titolo “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2010”, pervenuto a questo Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 dello Statuto speciale, il 4 maggio 2010.
Gli articoli della suddetta delibera legislativa contengono disposizioni che danno adito a censure di incostituzionalità per le motivazioni che di seguito si espongono.
L’art. 4, comma 11, si ritiene in contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione. Infatti la norma ivi contenuta dispone che una indefinita quota del fondo destinato ai trasferimenti annuali in favore dei comuni per lo svolgimento delle funzioni amministrative conferite dalla vigente legislazione, nonché a titolo di sostegno allo sviluppo, rimanga nella disponibilità dell’Assessore regionale per le autonomie locali e la funzione pubblica, per finanziare le spese relative ai ricoveri di minori extracomunitari clandestini non accompagnati in comunità o strutture disposte dall’autorità amministrativa.
La disposizione seppure lodevole e condivisibile nel merito appare tuttavia viziata da irragionevolezza intrinseca laddove non determina alcun limite alla quota di riserva. Si soggiunge poi che viene rimessa alla assoluta discrezionalità dell’Assessore l’utilizzazione, per finalità non attinenti alla ordinaria destinazione del fondo, delle risorse esistenti, la cui ripartizione fra le amministrazioni locali avviene secondo criteri legislativamente preordinati dal comma 2 del medesimo articolo.
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Gli articoli 6, 8 e 9 attinenti rispettivamente all’istituzione della tassa annuale di concessione regionale per fondo chiuso, alle tariffe in materia di motorizzazione e all’istituzione di nuove voci della tassa sulle concessioni governative regionali, suscitano rilievi di costituzionalità per violazione degli articoli 3, 117, comma 2 lett. e) e 119 della Costituzione e degli articoli 14, 17 e 36 dello Statuto Speciale nonché del D.P.R. 26 luglio 1965 n. 1074 e del D.P.R. 17 dicembre 1953 n. 1113 come modificato dal Decreto legislativo 11 settembre 2000 n. 296, nonché dell’art. 77-ter comma 19 del D.L. 25 giugno 2008 n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Quest’ultimo articolo rubricato “Patto di stabilità interno delle regioni e delle province autonome” afferma: “Resta confermata per il triennio 2009-2011, ovvero sino all’attuazione del federalismo fiscale se precedente all’anno 2011, la sospensione del potere delle regioni di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad esse attribuiti con legge dello Stato di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legge 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126”.
Le disposizioni in esame pertanto contrastano tutte, integralmente o parzialmente, come nel caso dell’articolo 8, con le norme statali che non solo hanno imposto alle Regioni di non aumentare la pressione tributaria a carico dei contribuenti, ma anche di non istituire nuovi tributi, in quanto ogni variazione in aumento andrebbe a variare l’assetto della misura del tributo stesso aggravando la pressione fiscale esistente.
L’ articolo 6, inoltre, sembra essere confliggente anche con la “ratio” della legge 157/1992 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”. Detta legge autorizza infatti le Regioni ad istituire soltanto una tassa di concessione (art. 23) per il rilascio dell’abilitazione all’esercizio venatorio i cui proventi devono essere utilizzati per l’erogazione di un contributo in favore dei proprietari e/o conduttori di fondi inclusi nel piano faunistico-venatorio, ai fini della gestione programmata della caccia.
Nessun onere ulteriore, oltre alla motivata istanza ai competenti organi amministrativi, è invece posto a carico del proprietario che intende vietare sui propri fondi l’esercizio della attività venatoria.
L’istituzione della tassa in questione inoltre verrebbe a costituire anche un ingiustificato gravame al diritto di proprietà ed una disparità di trattamento dei proprietari terrieri dell’isola rispetto a quelli del rimanente territorio nazionale.
La particolare autonomia di cui gode la Regione siciliana ex art. 36 dello Statuto Speciale non può giustificare una deroga a quanto sopra esposto.
Infatti è pur vero che la menzionata norma statutaria prevede che al fabbisogno finanziario della Regione si provvede a mezzo di tributi deliberati dalla medesima, ma è necessario stabilire il tipo di competenza in ordine all’istituzione di nuovi tributi.
Codesta ecc.ma Corte ha affermato in proposito (ex plurimis sentenze n. 138 del 1999 e n. 367 del 2001) che la potestà legislativa concorrente della Regione si esercita nei limiti del sistema tributario ed in ogni caso tenendo conto “della esigenza fondamentale di unitarietà del sistema tributario e di quella del coordinamento con la finanza dello Stato e degli enti locali affinché non derivi turbamento ai rapporti tributari sul resto del territorio” (sentenza n. 111 del 1999).
Codesta ecc.ma Corte nella recente pronuncia n. 123 del 2010, ha altresì affermato che: “ a) in forza del combinato disposto del secondo comma lett. e) del terzo comma e del quarto comma dell’art. 117, nonché dell’art. 119 Cost. , non è ammissibile in materia tributaria una piena esplicazione di potestà regionali autonome in carenza della fondamentale legislazione di coordinamento dettata dal Parlamento nazionale (sentenze n. 102 del 2008 e n. 37 del 2004); b) di conseguenza, fino a quando l’indicata legge statale non sarà stata emanata, rimane precluso alle Regioni il potere di istituire e disciplinare tributi propri aventi gli stessi presupposti dei tributi dello Stato e di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali (sentenze 102 del 2008, n. 75 e n. 2 del 2006, n. 397 e n. 335 del 2005, n. 37 del 2004)”.
Queste ultime affermazioni valgono specificamente per le disposizioni contenute nell’art. 8 con cui il legislatore siciliano approva con propria norma le tariffe relative all’esercizio delle attribuzioni degli organi periferici dello Stato in materia di motorizzazione trasferite alla Regione, ai sensi del D.P.R. 17 dicembre 1953, n.1113 e successive modifiche ed integrazioni, invadendo la competenza propria dello Stato.
Considerato che le suddette tariffe, ai sensi dell’articolo 18 della legge 1 dicembre 1986 n. 870, sono definite con decreto interministeriale, non può ritenersi ammissibile una competenza legislativa della Regione nella materia “de qua”, atteso anche l’esplicita disposizione della norma di attuazione in materia di comunicazioni e trasporti di cui all’art. 1, secondo comma del D.P.R. 1113/1953 modificato dal decreto legislativo n. 296/2000 per il quale la Regione siciliana esercita nell’ambito del proprio territorio tutte le attribuzioni degli organi periferici dello Stato <<ai sensi dell’art. 20 dello Statuto, secondo le direttive del Governo dello Stato>>.
Per quanto attiene all’art. 9, che introduce nuove voci alla tassa di concessioni governative regionali, si rileva che la stessa, disciplinata dal decreto legislativo 22 giugno 1991 n. 230, debba considerarsi tributo dello Stato poiché istituita da una legge statale ancorché il relativo gettito sia devoluto alla Regione stessa (sentenze Corte Costituzionale n. 216 e n. 298 del 2009).
Così come affermato da codesta Corte (ex plurimis sentenze n. 297 e 311 del 2003) trattandosi di tributo statale si deve ritenere preclusa la potestà delle Regioni ed anche della Regione siciliana (sentenza C.C. n. 442/2008) di modificare e/o integrare la normativa statale.
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Si ritiene poi in contrasto con gli articoli 117; 119, secondo comma e 120 della Costituzione il 7° comma dell’art. 16.
Questo dispone che “A decorrere dall’anno 2009 il concorso degli enti locali al contenimento della spesa per il personale, previsto dalla vigente normativa nazionale, viene calcolato includendo nella base di riferimento gli effetti prodotti dall’articolo 3, comma 2, della legge regionale 14 aprile 2006, n. 16 e consolidati alla data del 31 dicembre 2008”.
La norma sostanzialmente consentirebbe, peraltro retroattivamente, una diversa definizione della base di calcolo per gli oneri del personale ai fini del rispetto degli obiettivi posti dal patto di stabilità interno, con presumibili effetti negativi per il bilancio dell’ente e conseguentemente sui saldi di finanza pubblica.
Sulla base degli articoli 77 bis e 77 ter del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazione in legge 6 agosto 2008, n. 133, che, come sancito da codesta Corte con le sentenze n.36/2004, n. 35/2005 e n. 159/2008, costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai fini della tutela dell’unità economica della repubblica, la competenza delle Regioni a statuto speciale in materia di patto di stabilità è riconosciuta esclusivamente alle autonomie speciali che erogano le risorse per la finanza locale e non anche a quelle come la Sicilia, nei cui territori tuttora il Ministero dell’Interno trasferisce le suddette risorse agli enti locali.
Gli enti locali siciliani, dal 1999 ad oggi, sono assoggettati alle regole generali dettate dalla legislazione nazionale, con conseguente monitoraggio e verifica da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze e per essi quindi non può essere consentita una diversa modalità di computo degli oneri per il personale non preventivamente assentita dagli organi statali.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 257/07, inoltre, nel pronunciarsi in analoga questione relativa ai criteri per il raggiungimento del patto di stabilità interno della regione Sardegna, ha chiarito che << deve ritenersi consentito alle regioni di porre limiti ulteriori alla spesa pubblica degli enti locali, anche attraverso la previsione di un tetto massimo più basso>>; nella fattispecie in esame, invece, la norma vorrebbe determinare criteri differenti a quelli statali e non ulteriori per il calcolo delle spese per il personale ai fini del rispetto degli obiettivi posti dal patto di stabilità interno per gli enti locali.
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Si ritengono poi lesi gli art. 3 e 97 della Costituzione, da quanto previsto con l’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 21.
Detta norma dispone “Nel caso in cui lo scioglimento delle società termali preceda l’attuazione dell’articolo 20, l’assessore regionale per l’economia provvede con proprio decreto, nelle more, ad assicurare l’occupazione del personale”.
Nel comprensibile intento di salvaguardare i livelli occupazionali del personale delle società partecipate dalla Regione “Terme di Sciacca S.p.A.” e “Terme di Acireale S.p.A.” con modalità e criteri corrispondenti a quelli che verranno disposti per i dipendenti di tutte le altre società a totale e/o maggioritaria partecipazione regionale, interessate dal processo di riordino previsto dal precedente articolo 20, si pone a carico dell’Assessore per l’economia di provvedere, qualora lo scioglimento delle società termali in questione dovesse precedere l’attuazione del suddetto riordino, ad assicurare l’occupazione dei lavoratori.
Detta previsione appare nella sua estrema genericità non corrispondente alla “ratio” intrinseca del combinato disposto degli articoli 20 e 21 dalla cui attuazione si intende conseguire una maggiore efficacia ed efficienza dell’attività regionale nelle aree di interesse ritenute strategiche e, soprattutto, economicità per ridurre gli oneri che gravano sulle finanze della Regione stessa. La norma pertanto appare affetta da irragionevolezza oltre che lesiva del principio costituzionale del buon andamento della Pubblica Amministrazione.
La disposizione censurata sembra infatti essere volta a garantire l’occupazione al personale, indipendentemente dalla necessaria, preventiva e prioritaria valutazione dell’interesse dell’amministrazione di avvalersi delle prestazioni lavorative dei dipendenti in questione.
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Art. 36 “Interpretazione autentica dell’articolo 39 della legge regionale 29 dicembre 1980, n. 145 e dell’articolo 24 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30.
1.Al fine di assicurare effettività all’esercizio dei diritti politici, l’articolo 39 della legge regionale 29 dicembre 1980, n. 145, e l’articolo 24 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, sono intesi nel senso di riferirsi anche al rimborso delle spese legali sostenute dai sindaci e dai presidenti delle province regionali nei giudizi a loro carico subiti per farne dichiarare cause di ineleggibilità ovvero di incompatibilità poi riconosciute inesistenti.”
La suindicata disposizione si ritiene in contrasto con gli articoli 3, 97 e 81, comma 4 della Costituzione.
La norma in esame non sembra in realtà avere natura interpretativa delle disposizioni di cui all’art. 39 della L.R. n.145/1980 e all’art. 24 della L.R. n.30/2000 riguardanti entrambe l’assistenza legale a carico dell’ente locale in favore di dipendenti ed amministratori soggetti a procedimenti di responsabilità civile, penale o amministrativa in conseguenza di fatti ed atti connessi all’espletamento del servizio e dei compiti d’ufficio.
Codesta Corte con sentenze n. 374 del 2004 e n. 274 del 2006 in proposito ha affermato che “non è decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva. Infatti, il divieto di retroattività della legge – pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento cui il legislatore ordinario deve in principio attenersi – non è stato elevato a dignità costituzionale, salvo per la materia penale la previsione dell’art. 25 della Costituzione”. Quindi il legislatore nel rispetto di tale previsione, può emanare sia disposizioni di interpretazione autentica, che determinano chiarendola la portata precettiva della norma interpretata fissandola in un contenuto plausibilmente già espresso dalla stessa, sia norme innovative con efficacia retroattiva, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Ed è, quindi, proprio sotto l’aspetto del controllo di ragionevolezza che rilevano, simmetricamente , la funzione di “interpretazione autentica”, che una disposizione sia in ipotesi chiamata a svolgere, ovvero l’idoneità di una disposizione innovativa a disciplinare con efficacia retroattiva anche situazioni pregresse in deroga al principio per cui la legge non dispone che per l’avvenire”.
Inoltre con sentenza n. 234/2007 la Corte ha anche precisato che la retroattività deve trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza.
Ragionevolezza che non può ritenersi sussistere quando a situazioni sostanzialmente difformi come nel caso in ispecie (procedimenti di responsabilità e giudizi elettorali) si dia una disciplina identica non corrispondente alla diversità delle fattispecie (sentenza C.C. n. 108/2006).
Dalla disposizione inoltre potrebbero derivare oneri non previsti e quantificabili a carico delle amministrazioni locali prive di copertura finanziaria e conseguentemente in violazione dell’art. 81, 4° comma della Costituzione.
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La norma contenuta nell’art. 38 dispone in favore degli impianti di allevamento ittico, concessionari di aree demaniali marittime, l’applicazione del canone ricognitorio previsto dall’art. 39 del Codice della Navigazione.
Per l’applicazione di tale canone ridotto, di mero riconoscimento, per costante giurisprudenza (ex plurimis sentenza Corte di Cassazione sezione I n. 17101 del 3/12/2002) non rileva tanto la natura pubblica o privata del concessionario ma il fine di beneficenza o di pubblico interesse che questi si propone di perseguire attraverso la concessione. Perché poi sussistano gli scopi di pubblico interesse occorre, ai sensi dell’art. 37 del regolamento per la navigazione marittima, che il concessionario non ritragga stabilmente alcun lucro o provento dall’uso del bene demaniale.
Siffatto presupposto non può di certo ritenersi sussistente per gli esercenti gli impianti di allevamento ittico che naturalmente svolgono un’attività imprenditoriale.
La norma in questione quindi creerebbe un innegabile vantaggio per le imprese siciliane alterando la par condicio tra gli operatori economici del settore ed invadendo la competenza esclusiva dello Stato nella materia della tutela della concorrenza di cui all’art. 117 secondo comma lett. e) della Costituzione.
La disposizione altresì non quantifica la minore entrata derivante dall’applicazione della stessa né tanto meno individua le risorse con cui farvi fronte, ponendosi così in contrasto con l’art. 81, comma 4 della Costituzione.
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L’art.44 nell’ottica di una sinergia istituzionale per il mantenimento e l’innalzamento dei livelli di sicurezza pubblica e sociale per incentivare la collaborazione tra Regione, Prefettura ed enti locali prevede l’istituzione di un fondo speciale cui confluiscono nella misura del 30% , i beni mobili ed immobili confiscati alla mafia.
La possibilità di disporre autonomamente dei beni confiscati alla mafia non appare avere alcun fondamento nello Statuto Speciale in quanto né l’art.14 né l’art.17 individuano una tale competenza. Questa è riconducibile piuttosto a quella statale ai sensi dell’art.117 comma 2 lett.h) e l).
La previsione appare inoltre in contrasto con la legge n. 50 del 2010 che istituisce l’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla criminalità organizzata.
La norma inoltre laddove destina alle Prefetture siciliane quote del fondo in questione appare incidere sull’attività di organi statali ponendosi così in contrasto con la lettera g) del 2° comma dell’art.117 della Costituzione.
L’assegnazione automatica delle quote del fondo, qualora sia in vigore un “patto territoriale per la sicurezza” o a richiesta della Prefettura per interventi specifici sul territorio, configura infatti una inevitabile alterazione delle ordinarie attribuzioni svolte dagli uffici statali in quanto chiamati in causa per l’esercizio di funzioni pubbliche conferite legislativamente, senza alcun concerto da ente diverso da quello di appartenenza.
Codesta Corte in proposito con sentenza n.30 del 2006 ha chiarito che forme di collaborazione e di coordinamento <<non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa: esse debbono trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati>>.
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L’art.48 del disegno di legge in esame, concernente le “norme in materia di tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi urbani”, prevede, al comma 1, una modifica al comma 6 dell’art.6 della legge regionale 29 dicembre 2003, nr.21, eliminando il riferimento temporale al 30 giugno 2004, termine entro il quale doveva essere presentata l’istanza di definizione agevolata delle violazioni relative al tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi.
In sostanza il contribuente doveva effettuare il pagamento del tributo entro il 30 giugno 2004, ma mentre nella vigente versione della norma, entro detto termine avrebbe dovuto presentare l’istanza di definizione agevolata, con la modifica che si intende apportare con il comma 1 dell’art.48 del disegno di legge in esame, verrebbe meno il termine per il citato adempimento poiché le parole “nello stesso termine” sono state sostituite dalle parole “ fermo restando l’avvenuto pagamento del tributo nel predetto termine”.
La presentazione dell’istanza comporta la sospensione del procedimento giurisdizionale, in qualunque stato e grado questo sia eventualmente pendente (comma 7 dell’art. 6 della legge regionale), nonché consente alle province della Regione siciliana di disporre lo sgravio delle somme eventualmente già iscritte al ruolo entro dodici mesi dalla presentazione delle istanze di definizione (comma 11 della legge regionale).
Le disposizioni contenute nel citato art.48, comma 1, creano perplessità, in quanto concederebbero una proroga “sine die” ai contribuenti che ancora non hanno provveduto alla presentazione dell’istanza di definizione agevolata delle violazioni commesse con evidenti ripercussioni sul contenzioso eventualmente ancora pendente e sulla certezza delle posizioni giuridiche soggettive, producendo, in definitiva, una sostanziale situazione di incertezza per le province che devono gestire la procedura relativa al tributo in esame.
Inoltre, la norma crea una disparità di trattamento tra quei contribuenti che hanno rispettato il termine previsto dal comma 6 dell’art.6 della legge n. 21 del 2003 e coloro i quali beneficiano, con la modifica apportata dal citato articolo 48, comma 1, della legge in esame, di una riapertura dei termini per la presentazione dell’istanza alla provincia.
Esso pertanto viola gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
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I commi 1, 3 ultimo periodo e 4 dell’art. 49 in materia di gestione integrata del servizio idrico destano perplessità sotto il profilo della legittimità costituzionale.
Infatti, pur ribadendo, al primo periodo, gli effetti soppressivi delle autorità d’ambito, istituite ai sensi dell’articolo 148 del decreto legislativo n. 152 del 2006, disposti dall’art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010), si prevede al secondo periodo che “la gestione integrata del servizio idrico è organizzata con separato provvedimento, adottato nelle forme del citato articolo 2, comma 186-bis,” entro un anno dall’entrata in vigore della predetta legge statale.
Va rilevato, al riguardo, che l’art. 2, comma 186-bis della legge n. 191/2009 (legge finanziaria 2010), dispone, invece, che entro il termine citato le Regioni attribuiscano, con legge, le funzioni già esercitate dalle autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Pertanto, il comma 1, secondo periodo, della legge in esame, dopo aver richiamato esclusivamente “le forme” dell’intervento regionale di cui al citato comma 186-bis, rinvia, ad un separato provvedimento, l’organizzazione della gestione integrata del servizio idrico – che attiene alla tutela dell’ambiente ed alla tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato – invece di limitare il successivo intervento, secondo quanto prescritto dal citato comma 186-bis, all’attribuzione ad altro soggetto pubblico delle funzioni attualmente esercitate dalle predette autorità, secondo i richiamati principi previsti dall’articolo 118, primo comma, della Costituzione. È appena il caso di rammentare, infatti, che il vigente articolo 148 prevede, al comma 2, che alle autorità d’ambito siano demandati, oltre all’organizzazione, anche l’affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato, da esercitarsi nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 150 e seguenti del citato decreto legislativo e, per quanto alle modalità di affidamento nel rispetto della disciplina in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta nell’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008. Per questi motivi, il comma 1, secondo periodo, dell’articolo 49 in esame, eccedendo le competenze statutarie, contrasta con il citato comma 186-bis, del quale distorce le finalità, in una materia, quale la tutela dell’ambiente, attribuita alla competenza esclusiva statale, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lett. s) della Costituzione; la disposizione, inoltre, contrastando con il citato articolo 23-bis, viola la competenza statale in materia di tutela della concorrenza (art. 117 comma secondo lett. e) ed eccede le competenze statutarie in materia di assunzione di pubblici servizi, che, ai sensi dell’art. 17 dello Statuto di autonomia, deve svolgersi entro i limiti dei principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato.
Il comma 3 stabilisce, nell’ultimo periodo, tra l’altro, che, nel caso in cui la percentuale di mancata realizzazione degli investimenti sia superiore al 40 per cento, l’autorità d’ambito può risolvere il contratto per inadempimento, con esclusione delle ipotesi in cui il mancato adempimento non dipenda da fatto del gestore; così disponendo il legislatore regionale eccede dalla sua competenza statutaria invadendo quella esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza di cui all’articolo 117, comma secondo, lett. e), nonché la competenza in materia di ordinamento civile di cui alla lettera l) del medesimo articolo.
Il comma 4 dispone che, nei casi di cui al comma 3, fino all’espletamento delle procedure di cui all’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, e comunque non oltre il 31 dicembre 2010, il servizio può essere svolto, ai sensi della lettera e) del comma 8 del citato articolo 23-bis. Tale previsione consente, pertanto, l’affidamento di nuove gestioni del servizio idrico secondo modalità non conformi a quanto stabilito dai commi 2 e 3 del citato articolo 23-bis, richiamando, invece, la lettera e) del comma 8 dello stesso articolo 23-bis concernente – è necessario sottolinearlo – il regime transitorio delle gestioni affidate prima della nuova disciplina introdotta dallo stesso articolo 23-bis in materia di conferimento della gestione dei servizi pubblici locali. La lettera e) del citato regime transitorio riguarda quelle ipotesi residuali di gestioni non conformi alle modalità introdotte dalla nuova disciplina (gara, gara cosiddetta “a doppio oggetto” e “in house” motivato e previo parere dell’Antitrust) e preesistenti alla medesima, non potendo costituire in alcun modo una modalità di conferimento della gestione del servizio idrico integrato applicabile dopo l’entrata in vigore dell’articolo 23-bis e, pertanto, in evidente contrasto con le disposizioni contenute nello stesso articolo 23-bis e, più in generale, con i principi comunitari di cui tale disciplina è espressione, nonché con le finalità pro-concorrenziali perseguite dalla richiamata disciplina statale. Così facendo, il legislatore regionale, al comma 4, eccede dalla sua competenza statutaria, invadendo quella statale in materia di tutela della concorrenza di cui all’articolo 117, comma secondo, lett. e), della Costituzione.
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I commi 4 e 5 dell’art. 51 si ritengono in contrasto con gli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione in quanto prevedono, rispettivamente, l’ampliamento di altre 400 unità della dotazione organica determinata dalla tabella A di cui al secondo comma del medesimo articolo e una individuazione diversa e più ampia, della categoria di precari destinatari dei processi di stabilizzazione.
Non appare invero conforme al principio di buon andamento della pubblica amministrazione ampliare “ope legis” la dotazione organica di un cospicuo numero di unità di personale, determinata, secondo quanto emerge da chiarimenti forniti ex art. 3 del D.P.R. 488/1969 dalle competenti strutture regionali, a seguito della ponderazione e valutazione delle proposte “dettate da reali esigenze operative, pervenute dagli Uffici compulsati a seguito dei rilevamenti effettuati dal Dipartimento del Personale”. I dati relativi alla dotazione del personale individuato dalla cennata tabella A sarebbero stati, peraltro, oggetto di riscontro “nelle interlocuzioni con i vari rami dell’Amministrazione” e ritenuti “corrispondenti a quelli occorrenti per il funzionamento allo stato attuale dell’Amministrazione”.
Il personale destinatario dell’inserimento nella dotazione organica è peraltro in atto in servizio ai sensi dell’art. 1, 2° comma della L.R. n. 24/2007 presso la “Società beni culturali” S.p.A., società questa interamente partecipata dalla Regione.
Il previsto incremento della dotazione organica non correlato all’individuazione di funzioni, compiti, servizi che l’amministrazione regionale è chiamata a svolgere appare essere volto piuttosto ad aumentare le possibilità di eventuali stabilizzazioni del personale interessato che in passato aveva prestato servizio con contratto di diritto privato a tempo determinato per la realizzazione di progetti di catalogazione dei beni culturali ed ambientali finanziati con le risorse del POR 2000-2006.
Detto personale in ogni caso potrà accedere alle procedure di stabilizzazione per i posti relativi ai profili professionali posseduti vacanti nella pianta organica definita dall’allegato A se in possesso dei requisiti prescritti dalla normativa statale di riferimento.
Parimenti censurabile però sotto il profilo della violazione degli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione è la disposizione del comma 5 che introduce criteri diversi e più ampi da quelli richiesti dall’art. 1, comma 558 della legge n.296/2006 per individuare i destinatari della norma.
Il disporre infatti che si faccia riferimento alla data di entrata in vigore dell’attuale delibera legislativa anziché del citato articolo 1, comma 558, della legge n. 296/2006 amplia la portata, in misura non quantificabile, delle procedure di stabilizzazione del precariato prevista dall’impianto normativo statale, ritenuto da codesta Corte, unica legittima eccezione, in quanto giustificata da peculiari esigenze di interesse pubblico (ex plurimis sentenza n. 150/2010), alle regole del pubblico concorso. L’eventuale applicazione della norma regionale configurerebbe pertanto una modalità di accesso riservato lesivo del principio del concorso pubblico quale strumento ineludibile di ingresso al pubblico impiego come più volte ribadito da costante e consolidata giurisprudenza costituzionale (ex plurimis sentenze n. 205/2004, n. 159/2005, n. 190/2005 e n. 205/2006).
La disposizione in questione inoltre, dà luogo ad un trattamento differenziato rispetto al personale precario di altre amministrazioni pubbliche, ponendosi in contrasto con la normativa statale di riferimento e viola i principi di ragionevolezza, imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, eccedendo la competenza statutaria di cui all’art. 14 lett q) con specifico riferimento al principio del pubblico concorso che costituisce “la regola per l’accesso all’impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche da rispettare allo scopo di assicurare la loro imparzialità ed efficienza” (sentenza n. 81/2006).
Peraltro le procedure di stabilizzazione previste dalla legge n. 296/2006 devono ormai ritenersi superate per effetto delle previsioni create dall’art. 17, commi da 10 a 13 del decreto legge n. 78/2009 convertito in legge n. 102/2009 che con riferimento alla generalità delle amministrazioni pubbliche stabiliscono nuove modalità di valorizzazione dell’esperienza professionale acquisita dal personale non dirigente attraverso l’espletamento di concorsi pubblici con parziale riserva di posti.
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Le disposizioni di cui al capo II titolato “Credito d’imposta regionale per l’incremento dell’occupazione” si ritengono in contrasto con l’art. 117 comma 2, lett. e) della Costituzione.
Contengono infatti una puntuale ed esaustiva disciplina di un contributo nella forma del credito d’imposta pari a 333 euro al mese per ciascun lavoratore di sesso maschile e 416 euro per le lavoratrici donne, in favore dei datori di lavoro che effettuano nuove assunzioni di lavoratori svantaggiati, molto svantaggiati e disabili per un periodo variabile, a seconda dei soggetti assunti, da 12 a 24 mesi.
Il credito d’imposta secondo l’art. 57 è indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta per il quale è concesso ed è utilizzabile in compensazione ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo n. 241/1997.
Al riguardo, non può esimersi dal rilevare che con sentenza n. 123 del 26 marzo 2010 codesta Corte, in occasione del giudizio di un’analoga disposizione della regione Campania, ha affermato che la previsione di un’agevolazione tributaria nella forma del credito d’imposta applicabile a tributi erariali costituisce un’integrazione della disciplina dei medesimi tributi erariali, materia questa riservata alla competenza legislativa dello Stato.
Dal tenore delle disposizioni non può infatti desumersi che il credito d’imposta in questione riguardi esclusivamente tributi regionali o che comunque afferiscono al territorio regionale ed affluiscono alle casse regionali, in virtù delle previsioni dello Statuto Speciale.
Nello specifico, alla luce del decreto legislativo 3 novembre 2005, n. 241, relativo all’attuazione dell’art. 37 dello Statuto Speciale ove si prevede che, nel caso di impianti e stabilimenti presenti sul territorio siciliano ma appartenenti a soggetti fiscalmente residenti fuori dalla Sicilia, soltanto le imposte dirette afferenti alle suddette unità locali sono di spettanza regionale. La omessa specificazione che l’agevolazione tributaria è da intendersi limitata alla quota d’imposta riferibile agli impianti ubicati nella regione, rende palese ed inequivocabile l’interferenza del beneficio previsto con le imposte, o quote d’imposte, di competenza esclusiva dello Stato.
Codesta Corte poi nella sentenza n. 116 del 2010 a proposito della competenza della Regione siciliana di cui all’art. 36 dello Statuto Speciale ha chiarito che la cennata disposizione “lascia trasparire un’originaria concezione dell’ordinamento finanziario ispirata ad una netta separazione fra finanza statale e finanza regionale” nel senso che l’ordinamento finanziario della Regione si basa <<sull’esercizio di una potestà impositiva del tutto autonoma della Regione, in spazi lasciati liberi dalla legislazione tributaria dello Stato (sentenza C.C. n. 138 del 1999) >> nella fattispecie in esame inesistenti. Inoltre con costante giurisprudenza costituzionale (da ultimo la citata sentenza n. 123/2010) va considerato statale e non già proprio della Regione, il tributo istituito e regolato da una legge statale ancorché il relativo gettito sia devoluto alla Regione stessa per cui la disciplina, anche di dettaglio, dei tributi statali è riservata alla legge statale.
L’intervento del legislatore regionale è quindi da ritenersi precluso anche solo ad integrazione della disciplina, se non eventualmente nei limiti stabiliti dalla legislazione statale stessa.
Alla luce di tali principi è innegabile che la previsione di un’agevolazione tributaria nella forma del credito d’imposta applicabile indistintamente a tutti i tributi, anche erariali, costituisce un’integrazione alla disciplina dei medesimi in relazione a presupposti (quali l’assunzione di dipendenti) che non sono stabiliti direttamente o su autorizzazione della legislazione statale e realizza una violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di sistema tributario contabile (art. 117 secondo comma lett. e) Cost.). Anche le norme di attuazione dello Statuto escludono la legittimità di un intervento del legislatore regionale in subiecta materia, atteso che come chiarito da codesta Corte nella sentenza n. 116 del 2010 essi hanno costruito un diverso modello dell’ordinamento finanziario siciliano, in quanto, <<allontanandosi dal disegno originariamente sotteso alla formula testuale dell’art. 36 dello Statuto >> (sentenza n. 138 del 1999), prevedono l’<<attribuzione alla Regione del gettito della maggior parte dei tributi erariali, riscosso nel territorio regionale, (…), fermo restando che (…) si applicano nella Regione le disposizioni delle leggi tributarie dello Stato (art. 6 del D.P.R. n. 1074 del 1965)>> (sentenza n. 138 del 1999; analogamente, la sentenza n. 306 del 2004).
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L’art. 75, recante “Norme in materia di trasporto aereo”, in quanto, seppur nel rispetto dei principi costituzionali di competenza legislativa la Regione promuove ed adotta una politica ed un piano regionale dei trasporti per un ordinato e coordinato sviluppo del sistema aeroportuale regionale in ambito europeo ed internazionale e, al fine di valorizzare le potenzialità del territorio siciliano, l’economia e il turismo, l’Assessorato regionale del turismo, dello sport e dello spettacolo introduce misure volte ad istituire nuovi collegamenti aerei point to point con destinazioni nazionali e comunitarie da e per gli aeroporti nel territorio della Regione. Dal tenore della norma il legislatore regionale non tiene conto della normativa statale e comunitaria di riferimento, invadendo la competenza legislativa statale in materia. Anche la Corte Costituzionale, pronunciandosi su questione non dissimile, ha stabilito che la disciplina degli aeroporti risponde, da un lato, ad esigenze di sicurezza del traffico aereo, e, dall’altro, ad esigenze di tutela della concorrenza, le quali corrispondono ad ambiti di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettere e) ed h), della Costituzione ( sent. C.C. n. 18/09).
La materia di cui trattasi, infatti, non può essere ricondotta alla materia «porti e aeroporti civili», di competenza regionale concorrente. Tale materia – come la Corte ha già affermato (sentenza n. 51 del 2008) – riguarda le infrastrutture e la loro collocazione sul territorio regionale, mentre la normativa in esame attiene all’organizzazione ed all’uso dello spazio aereo, peraltro in una prospettiva di coordinamento fra più sistemi aeroportuali, attribuite alla competenza esclusiva dello Stato.
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L’art. 87 desta censura di costituzionalità per violazione degli articoli 3 e 97 Cost. Esso prevede il trasferimento da parte dell’Assessorato regionale delle risorse agricole di strutture, aree di pertinenza e macchinari del mercato del fiore di Contrada Spinello al comune di Scicli.
Nonostante la richiesta di elementi chiarificatori della norma, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 488/1969, l’amministrazione regionale non ha fornito assicurazioni sulla titolarità dei beni immobili e mobili, rendendo pertanto irragionevole la previsione legislativa che autorizza il trasferimento e/o la cessione di un immobile su cui non gode alcun diritto reale.
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La previsione dell’articolo 89 che pone l’obbligo ai comuni e agli enti locali, che forniscono servizi di mense scolastiche, universitarie ed ospedaliere, di assicurare e verificare che almeno il 50% dei prodotti alimentari somministrati sia prodotto in Sicilia, appare viziato di manifesta irragionevolezza ed invasivo della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza secondo quanto precisato da codesta Corte Costituzionale con costante giurisprudenza (ex plurimis sentenza n. 245/2007) in quanto la disposizione è in contrasto con la finalità intrinseca della legge in cui è contenuta.
Orbene nella fattispecie in esame appare del tutto incongruo perseguire il fine di rilanciare attività utili a dare occupazione, reddito e risparmio alla popolazione a rischio di povertà” somministrando in elevate percentuali nelle mense gestite dai comuni alimenti prodotti nell’isola e distorcendo le funzioni proprie degli enti locali volte a garantire la qualità e l’economicità del servizio anziché privilegiare determinate categorie di imprenditori.
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Affetta dal vizio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione è anche la previsione dell’articolo 104 che ex abrupto modifica l’articolo 6 della L.R. 20/2007 e trasferisce la proprietà dell’area attrezza di Punta Cugno dall’autorità portuale di Augusta all’ “ASI di Siracusa”.
Dai chiarimenti acquisiti, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 488/1969, si rileva che l’area in argomento fa parte del demanio marittimo statale ed è inserita nell’elenco delle zone demaniali non trasferite alla Regione siciliana ai sensi dell’art. 1 e 3 del D.P.R. 1/7/1977 n. 684 nonché ricadenti all’interno del porto di Augusta (porto militare di 1a categoria, mercantile di 2a categoria, 1a classe) rientrante nella circoscrizione territoriale di competenza dell’autorità portuale di Augusta ex decreto istitutivo del 5/9/2001.
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L’art. 125, comma 1, ultimo periodo prevede l’avvio delle procedure per il passaggio del personale dell’Ente Autonomo Fiera del Mediterraneo (35 dipendenti in servizio più 6 da assumere a tempo pieno secondo i chiarimenti forniti, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 488/1969) alla società Multiservizi S.p.A., società ad intero capitale regionale, mantenendo il profilo professionale e il trattamento giuridico ed economico attualmente goduto.
Tale disposizione si ritiene lesiva del principio di buon andamento della pubblica amministrazione nonché di eguaglianza di trattamento di cui agli articoli 3 e 97 Cost. poiché privilegia le aspettative di mantenimento degli attuali livelli occupazionali e di reddito dei dipendenti senza tenere in alcun conto le esigenze funzionali, operative e finanziarie della società partecipata peraltro interessata, ai sensi dell’art. 20 della medesima delibera legislativa, da un processo di riordino globale delle società a totale e maggioritaria partecipazione della Regione nel dichiarato intento di contenere e razionalizzare la spesa pubblica.
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L’art. 126 si pone in contrasto con gli articoli 3, 81, comma 4 e 97 della Costituzione; viene infatti disposta la concessione di contributi ad editori locali da individuare con successivo Decreto Presidenziale, omettendo di quantificare l’onere derivante e di indicare una idonea copertura finanziaria per lo stesso.
Il terzo comma inoltre appare viziato da irragionevolezza giacché obbliga tutta la pubblica amministrazione di riferimento regionale e locale comprese le Aziende sanitarie, a costituirsi parte civile in tutti i procedimenti penali e a richiedere al giudice la pubblicazione di un’eventuale sentenza di condanna su quotidiano a diffusione regionale o a disporre a propria cura e spesa la pubblicazione dell’estratto di sentenza.
Tale previsione laddove impone indistintamente ed incondizionatamente la costituzione di parte civile in ogni procedimento penale senza considerare l’entità e la rilevanza dello stesso per l’interesse locale grava di un onere finanziario non indifferente per il sostenimento delle spese legali l’ente pubblico pur di garantire, in ogni caso, la pubblicazione dell’eventuale sentenza di condanna con ulteriore aggravio alle finanze pubbliche e lieve ristoro economico alle società editrici.
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L’art. 127, comma 14, prevede che “Le tasse sulle concessioni regionali sono dovute anche nel caso in cui l’autorizzazione, licenza, abilitazione o altro atto di consenso per le attività comprese nella tariffa di cui al decreto legislativo 22 giugno 1991, n. 230 e nella tabella di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 641, sono sostituite dalla denuncia di inizio attività”.
Detta disposizione appare in contrasto con i principi che regolano le tasse di concessione governative e regionali in questione, il cui pagamento è legato all’emanazione di un atto o di un provvedimento da parte di una pubblica amministrazione.
Orbene, nel caso di denuncia di inizio di attività l’atto di consenso da parte della pubblica amministrazione si intende sostituito dalla denuncia stessa, nella quale sono attestati l’esistenza dei presupposti e dei requisiti stabiliti dalla legge.
Pertanto non essendo prevista l’emanazione di un apposito provvedimento, manca, di fatto, il presupposto impositivo del tributo.
Tale considerazione si ritrova anche, seppure in materia di imposta di bollo, nella risoluzione n.109/E del 5 luglio 2001, dell’Agenzia delle Entrate, dove si afferma che “non essendo prevista l’emanazione di un provvedimento autorizzativo all’esercizio, non è possibile far rientrare tra le istanze volte ad ottenere un provvedimento le denunzie di inizio attività in argomento che sono infatti da considerare come semplici comunicazioni e pertanto non soggette ad imposta di bollo, salvo beninteso, l’ipotesi del caso d’uso (quando gli atti sono presentati all’Ufficio delle Entrate per la registrazione)”.
La disposizione in questione pertanto, nel travalicare i limiti posti in materia tributaria alla competenza legislativa della Regione dall’art. 36 dello Statuto e dalle relative norme di attuazione, introduce un nuovo tributo non connesso al presupposto impositivo fissato dalla norma statale di riferimento, confliggendo altresì palesemente con le disposizioni dell’art. 77 ter, comma 19, del D.L. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008 e si pone in contrasto con l’art. 119 della Costituzione.
PER I MOTIVI SUESPOSTI
e con riserva di presentazione di memorie illustrative nei termini di legge, il sottoscritto Prefetto dott. Michele Lepri Gallerano, Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, ai sensi dell’art. 28 dello Statuto Speciale, con il presente atto
I M P U G N A
i sottoelencati articoli del disegno di legge n. 471-471bis-471 ter dal titolo “Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2010” approvato dall’Assemblea regionale l’1 maggio 2010:
– art. 4, comma 11 per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione;
-art. 6, per violazione degli articoli 3, 117, comma 2, lett. e) e 119 della Costituzione nonché degli articoli 14, 17 e 36 dello Statuto Speciale, nonché del D.P.R. 26 luglio 1965 n. 1074 e dell’art. 77 ter, comma 19 del Decreto Legge n.112/2008 convertito in legge n. 133/2008;
-art. 8 per violazione degli articoli 117, comma 2 lett. e) e 119 della Costituzione, degli articoli 14, 17 e 36 dello Statuto Speciale nonché del D.P.R. 26 luglio 1965 n. 1074 e del D.P.R. n. 1113 del 1953 come modificato dal Decreto legislativo n. 296 del 2000;
– art. 9 per violazione degli articoli 117, comma 2 lett. e) e 119 della Costituzione, degli articoli 14, 17 e 36 dello Statuto Speciale nonché del D.P.R. 1074/1965 e dall’art. 77 ter, comma 19 del Decreto legge n. 112/2008 convertito in legge n. 133/2008;
– art. 16, comma 7, per violazione degli articoli 117, 119, comma 2 e 120 della Costituzione;
-art. 21, comma 2 ultimo periodo, per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione;
– art. 36 per violazione degli articoli 3, 81, comma 4 e 97 della Costituzione;
– art. 38 limitatamente all’inciso “nonché degli impianti di allevamento ittico” per violazione degli articoli 81, comma 4, e 117, comma 2 lett. e) della Costituzione;
– art. 44 per violazione dell’art. 117, comma 2 lett. g), h) ed l) della Costituzione;
– art. 48, comma 1, per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione;
– art. 49, commi 1 secondo periodo, 3 ultimo periodo e 4, per violazione dell’articolo 117, comma 2, lett. e), l) ed s);
– art.51, comma 4 e 5, per violazione degli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione;
– art. 53, comma 1, limitatamente all’inciso “nella forma del credito d’imposta” e comma 4; art. 55, comma 4; art. 56, comma 1; art. 57; art. 58, comma 1; art. 59. comma 4 secondo e terzo periodo, comma 5, secondo periodo limitatamente all’inciso “del credito”, terzo periodo limitatamente agli incisi “al credito richiesto” e “indicazione nella comunicazione presentata di minori crediti spettanti”; art. 60, comma 1 limitatamente all’inciso “a fruire del credito d’imposta” ed ultimo periodo, comma 3; art. 61 comma 1 limitatamente all’inciso “previa intesa con l’Agenzia delle entrate”, comma 2 e comma 4, per violazione dell’art. 117, comma 2 lett. e) della Costituzione nonché dell’art. 36 dello Statuto Speciale e del D.P.R. n.1074/1965;
– art. 75 per violazione dell’art. 117, comma 2 lett. e) ed h) della Costituzione;
– art. 87 per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione;
– art. 89 per violazione degli articoli 3, 97 e 117, comma 2 lett. e) della Costituzione;
– art. 104 per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione;
– art. 125, comma 1 ultimo periodo per violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione;
– art. 126 per violazione degli articoli 3, 81, comma 4 e 97 della Costituzione;
– art. 127, comma 14 per violazione dell’articolo 3, 117, comma 2 lett. e) e 119 della Costituzione nonché dell’art. 36 dello Statuto Speciale e del D.P.R. n. 1074/1965.
Palermo, 10 maggio 2010
Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana
(Prefetto dott. Michele Lepri Gallerano)
Pubblicato il
10 Maggio 2010, 19:30