“Ricordo che Papa Francesco dribblò tutti. Uscì da una Cinquecento, mentre gli uomini della sicurezza tenevano sott’occhio le macchine più grandi, aspettandolo lì. Aprì le transenne e si tuffò, letteralmente, tra noi detenuti”.
Era il due aprile del 2015. Quel giorno a Rebibbia, Papa Bergoglio visitò, nel segno della sua passione per i diseredati, gli esseri umani tra i più diseredati di tutti: i carcerati. C’era anche Totò Cuffaro, ex presidente della Regione, segretario attuale della Nuova Dc, che stava scontando la sua condanna. Le emozioni sono racchiuse nella narrazione, dieci anni dopo.
Papa Francesco a Rebibbia
“Papa Francesco – racconta Cuffaro – era lì per la classica lavanda dei piedi, in tempo di Pasqua. Entrò in mezzo a noi che ci aprimmo, come il Mar Rosso, aggirando gli ostacoli e il protocollo. Poi cercammo di andargli vicino, per baciare il suo anello. Ma lui non lo permise. Alzò il braccio in segno di saluto e baciò lui i presenti, uno per uno. Pure io, che di solito bacio, fui baciato…”.
“Alla lavanda dei piedi – prosegue il racconto – Papa Francesco chiese ai selezionati di alzarsi e si accomodarono altri che non erano stati preparati per il momento. Fu un altro gesto di grande umiltà. Riuscii a scambiare qualche parola con lui che mi regalò il braccialetto verde della misericordia, non solo a me, ovviamente. Quello per me diventò il bracciale della speranza. Mi ha aiutato e lo conservo ancora religiosamente”.
“Il Papa aveva occhi profondi e tristi per la nostra condizione di detenuti. Il momento del saluto – dice Cuffaro – fu molto commovente”.
L’incontro con Papa Ratzinger
L’ex presidente aveva incontrato, in precedenza, sempre a Rebibbia, Papa Benedetto XVI. “Un altro frangente straordinario – racconta ancora -. Ci conoscevamo e riuscii a parlare in privato con lui. Lesse il mio primo libro, ‘Il candore delle cornacchie’ e mi inviò in seguito una bellissima lettera. Il prossimo pontefice? Mi piacerebbe se venisse dal continente africano”.
Tutto resterà di un Papa indimenticabile. Un Papa smisurato, Francesco, perché chiunque abbracci quella Missione è oltre la misura del mondo, nella sua strada tendente all’infinito. E ci pare di vederlo, in un giorno di aprile, mentre arriva dalla macchina inattesa, si tuffa – da portiere qual era in gioventù – nel vasto mare dell’umanità sofferente. E poi sorride alla speranza che è sorella del dolore.