"Ilardo era intercettato" |Parlano gli investigatori - Live Sicilia

“Ilardo era intercettato” |Parlano gli investigatori

E' stato Alessandro Scuderi, il teste chiave dell'ultima udienza per il processo dell'omicidio di Luigi Ilardo. Il 30 gennaio dovrebbe salire sul banco degli interrogatori la vedova.

I misteri attorno al delitto
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CATANIA – Gino Ilardo aveva pranzato in una trattoria vicino alla stazione con un’assicuratrice, la bionda Silvana Pappalardo, proprio il giorno in cui fu assassinato, il 10 maggio del 1996. L’investigatore della Squadra Mobile, Alessandro Scuderi, ascoltato nel corso dell’udienza per il processo dell’omicidio del cugino di Giuseppe Madonia, ripercorre gli ultimi spostamenti della vittima. Su quell’incontro, infittito di mistero e, soprattutto, su quella conoscenza potrà dare maggiori dettagli alla Corte la stessa donna inserita nella lunga lista di testi dell’accusa.

Scuderi racconta quella notte del 1996. Nonostante i quasi vent’anni ancora il poliziotto ricorda particolari importanti. “Quella sera era libero dal servizio – afferma – ma fui chiamato e arrivai sotto casa di Ilardo. C’era già la scientifica, ma il cadavere era ancora lì”. Il Pm Pasquale Pacifico, come ha fatto con l’altro poliziotto ascoltato ieri Sebastiano Cassisi, ha cercato di cristallizzare la scena del crimine. “Il cadavere era a metà – racconta Scuderi – tra la parte anteriore e posteriore dell’auto, una mercedes. E il cofano era aperto”. In quel cofano fu trovato un cellulare.

Furono battute tutte le piste in quella prima fase dell’indagine, che finì purtroppo in arenarsi in un nulla di fatto. “C’era tanta voglia di riuscire a fare luce su questo delitto” – ricorda il poliziotto Scuderi.  Il fascicolo però fu archiviato. L’inchiesta si riaprì nel 2011 quando Eugenio Sturiale diventò collaboratore di giustizia e raccontò di essere stato testimone oculare del delitto del suo vicino di casa, Luigi Ilardo. Sturiale è profondo conoscitore della geografia criminale di Catania e dei suoi protagonisti. Prima uomo dei Santapaola, il pentito è poi “migrato” nei Carateddi di Sebastiano Lo Giudice, tanto che finì in manette proprio nell’operazione Revenge, che decapitò nel 2009 la cosca. Sturiale aveva già parlato di cosa aveva visto quella notte: quando era confidente, nel 2001, aveva consegnato a Mario Ravidà della Dia quel racconto. Esiste infatti una relazione di servizio. Particolari, questi, che emergeranno nel corso del processo che già dalle prime battute fa comprendere come l’omicidio di Luigi Ilardo non sia un delitto come tanti degli anni ’90. Non si tratta – secondo la Procura – di una semplice esecuzione di mafia.

Ilardo aveva contatti diretti “non solo con la cupola palermitana”, come si evince dall’informativa Grande Oriente (prova documentale non accolta dalla Corte per un’opposizione della difesa) redatta dal colonello del Ros, Michele Riccio. In aula Scuderi racconta che il mafioso di Caltanissetta intesseva relazioni con la criminalità calabrese. Ci fu anche un incontro con un avvocato. Per gli investigatori calabresi all’epoca sarebbe stato un ponte di collegamento tra la ‘Ndrangheta e la Massoneria.

Ilardo era intercettato dalla polizia. Era sospettato dell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà. “I telefoni dell’abitazione erano stati sotto controllo” – spiega Scuderi alla Corte. Un sospetto che venne alimentato anche all’interno della criminalità organizzata, come racconta ai magistrati lo stesso Santo La Causa (già condannato in primo grado con il rito abbreviato) per spiegare il movente di quel piano criminale. Oltre a queste insinuazioni, inoltre, negli ambienti criminali si raccontò che Luigi Ilardo si era intascato le estorsioni delle Accieierie Megara, non portando niente alle casse della “famiglia”. False ragioni per un delitto che sarebbe stato affidato al gruppo di fuoco di Maurizio Zuccaro e ordinato, dal carcere, da Enzo Santapaola e Giuseppe Madonia.

Quelle intercettazioni permisero di ricostruire che “nella notte tra il 30 marzo e il primo aprile del 1996 a casa di Ilardo ci fu un furto. Furono rubati – racconta Scuderi – contanti e preziosi. Ad accorgersi dell’ammanco fu la moglie, Concetta Strano”. Sarà lei, nel corso della prossima udienza a delineare i contorni di questo nuovo giallo attorno alla morte del marito.

Depistaggi intorno a quell’assassinio secondo la Procura per nascondere il vero “movente”, cioè la sua intenzione di diventare collaboratore di giustizia. Ilardo era a conoscenza di troppe verità pericolose e andava fatto fuori. Cosa nostra avrebbe ordinato l’omicidio, ma qualcosa spinse ad anticipare i piani. E’ un’altro particolare che emerge dalle dichiarazioni di Santo La Causa. E tra le ipotesi è che ci possa essere stato uno “spiffero”, come lo definisce Giovanni Brusca, che abbia fatto sapere che Ilardo aveva manifestato la sua intenzione a collaborare. Eppure a sapere questo particolare erano solo le persone presenti a quel famoso incontro a Roma del 2 maggio 1996: Luigi Ilardo, Michele Riccio, i pm Giovanni Tinebra, Giancarlo Caselli e Teresa Principato. Fuori da quella stanza il generale dei Ros Mori. E di quella riunione non esiste un atto ufficiale, quel documento sarebbe andato perduto durante un trasferimento di fascicoli.


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