01 Febbraio 2016, 16:15
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PALERMO – La “colpa” di essere vicini. E di essersi affidati alla stessa azienda. Per questo motivo due ditte si sono visti negare dal Comune di Marineo il via libera a un mini-impianto eolico per i quali avevano depositato i progetti nel 2014: secondo l’amministrazione locale, infatti, i due impianti sarebbero un “frazionamento fittizio”, un unico impianto presentato come se fossero due per accedere alle semplificazioni burocratiche concesse ai piccoli produttori di energia. Non è così, però, per la seconda sezione del Tar di Palermo, che ha accolto i ricorsi presentati da entrambi con l’assistenza legale di Massimiliano Mangano.
La storia dei due impianti inizia nell’autunno del 2004. I due vicini di casa decidono di investire in un impianto di produzione di energia, presentando due progetti da 10 kilowatt ciascuno: strutture minuscole, per le quali la legge prevede una “scorciatoia” burocratica. In quei giorni, però, in Gazzetta ufficiale arriva una circolare dell’assessorato regionale all’Energia che fissa le regole per la “procedura abilitativa semplificata” concessa agli impianti che producono meno di 60 kilowatt, mettendo in guardia i Comuni, appunto, dalle suddivisioni simulate, cioè dai “furbetti” che presentano come impianti distinti porzioni della stessa struttura. Passano pochi giorni e il Comune di Marineo decide che i due casi arrivati all’ufficio protocollo qualche giorno prima sono proprio un esempio di queste simulazioni: fra l’altro tralasciando il fatto che i due impianti, anche sommati, non superano i 60 kilowatt previsti dalla legge. Scatta il diniego.
Per il Tar, che si è pronunciato con due sentenze distinte (306 e 352 del 2016), non è così. “Deve essere osservato – annota il collegio presieduto da Cosimo Di Paola e composto da Federica Carbini con Giuseppe La Greca primo referendario ed estensore – che il preteso ‘collegamento societario’ tra le due ditte sopra individuate è stato deduttivamente ravvisato dal Comune senza alcuna specifica istruttoria”. Tanto più che il legame fra i due progetti “non è fondato su alcuno dei parametri giuridici che, in materia societaria, consentono di individuare le fattispecie tipiche di collegamento e/o controllo”. Ma non basta: nelle due sentenze, depositate fra giovedì e venerdì scorso, si osserva anche come gli impianti, “pur avvalendosi di un ipotetico cumulo di potenza, non superino la soglia prevista dalla legge per farsi luogo alla procedura abilitativa semplificata”. Risultato: il progetto è approvato. E adesso il Comune deve pure pagare le spese.
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01 Febbraio 2016, 16:15