Imprenditore ucciso: preso il padre | “Guarda cosa mi hai fatto fare…”

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10 Luglio 2014, 09:56

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RIESI (CALTANISSETTA) – Al suicidio di Piero Di Francesco nessuno aveva mai creduto. Chi lo conosceva ha raccontato ai carabinieri di una persona solare, sorridente. Tra tanti, un amico interrogato poco dopo la morte del giovane imprenditore di Riesi, ha riferito di averlo visto di prima mattina a Pietraperzia, nell’Ennese, abbastanza sereno e con atteggiamento che mai avrebbe fatto presagire quello che poi è accaduto. Chi ha indagato, invece, ha sin dall’inizio ipotizzato che si trattasse di omicidio. Troppi indizi facevano pensare che fosse stato qualcuno a volere la morte dell’impresario. La conferma, a distanza di un anno e mezzo, è arrivata oggi con una svolta clamorosa.

Piero Di Francesco è stato ucciso. E a volere la sua fine sarebbe stato proprio il padre Stefano, 63 anni, anche lui imprenditore, oggi arrestato e trasferito in carcere con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Ad incastrarlo una auto confessione che i carabinieri hanno tratto dalle registrazioni di una cimice nascosta al cimitero, dietro alla lapide di Piero. Davanti alla foto del figlio, il padre Serafino apostrofandolo come “cricchietto”, il nomignolo col quale era solito chiamarlo, avrebbe detto “cosa mi hai fatto fare…”. Per gli investigatori questa è la prova schiacciante che l’uomo sia l’autore dell’omicidio.

I fatti risalgono al 9 gennaio 2012. I carabinieri furono allertati in contrada Bannulla dove Serafino Di Francesco, oggi individuato come il presunto omicida del figlio, segnalò che qualcuno aveva incendiato una sua auto. Era circa mezzogiorno. Di Francesco raccontò disperato agli inquirenti che nel tentativo di domare le fiamme aveva buttato, con l’aiuto di una pala meccanica, sull’auto avvolta dal fuoco, un cumulo di detriti, che aveva preso dalla cava di proprietà della sua azienda, la Tecnoambiente, proprio nello stesso terreno in cui bruciava l’auto. Poi la scoperta. Dopo che le fiamme erano state estinte aveva notato sul sedile posteriore del mezzo, una vecchia Mercedes in disuso, il corpo carbonizzato del figlio. Da qui l’ipotesi del suicidio del giovane, che in realtà non ha mai convinto i carabinieri.

Alla base dell’omicidio ci sarebbero stati interessi societari. Secondo le prime ricostruzioni, l’imprenditore sessantatreenne, dopo essere stato riabilitato nella società di famiglia, da cui si era staccato per un precedente fallimento, avrebbe preteso l’estromissione dall’azienda del primogenito Eugenio, che riteneva incapace e privo di potere decisionale. Una scelta che Piero non condivideva e che negli ultimi tempi aveva inaridito i rapporti fino a continui episodi di violenza tra i due. Fino alla morte.

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L’ipotesi del suicidio dell’imprenditore, all’epoca dei fatti trentenne, non convinse i carabinieri. Troppi elementi fecero subito pensare ad un omicidio. Una tesi avvalorata dai risultati dell’autopsia compiuta qualche giorno dopo sul corpo di Piero Di Francesco che ha fatto emergere che la vittima era stata colpita alla testa con un corpo contundente. Una botta che gli aveva procurato una forte emorragia e gli aveva fatto perdere i sensi. Un elemento in più, per gli investigatori, che faceva pensare ad un delitto. Poi i particolari raccapriccianti: quando fu appiccato l’incendio all’auto, il corpo, che i militari hanno sempre sostenuto fosse stato adagiato da qualcuno sul sedile posteriore, era ancora in vita. Dall’esame è infatti emerso che Piero Di Francesco abbia ingerito le lingue di fuoco che lo hanno portato ad una atroce morte.

Sul luogo dei fatti troppe cose nel 2012 agli uomini della stazione dei carabinieri di Riesi non furono chiare, tanto da pensare subito che la pista del suicidio era da escludere. Chi aveva interesse a bruciare una vecchia auto e per di più in pieno giorno? Che ci faceva una tanica di benzina, rinvenuta poco distante dalla Mercedes incendiata con il tappo chiuso? Perché poco distante dal luogo in cui era stato trovato carbonizzato Piero c’erano delle tracce ematiche? Riscontri incrociati che insieme ad una serie di contraddizioni che il padre avrebbe commesso in sede di interrogatorio hanno portato alla svolta. In quasi due anni di indagini la Procura ha sentito operai, amici e parenti della famiglia. Tutti avrebbero in qualche modo smentito che l’imprenditore potesse essersi suicidato descrivendolo come un uomo impegnato a lavoro e serio, dedito alla moglie, Giusy Marotta, e ai suoi due figli. Piuttosto dai racconti emergeva un rapporto, negli ultimi tempi, violento esercitato dal padre Serafino sul figlio Piero. Era anche venuto fuori che sei mesi prima dell’omicidio l’uomo aveva preso a martellate il figlio. Un episodio che però non fu mai denunciato.

“Un soggetto violento”, così in conferenza stampa il sostituto procuratore di Caltanissetta Domenico Gozzo ha definito l’arrestato. E ha poi aggiunto: “C’è tutta la trama di un romanzo ma è realtà”. A rivelare i particolari ai cronisti, questa mattina, anche Valerio Marra, maggiore del Reparto territoriale dei carabinieri di Gela, Federico Reginato e Rosario Alessandro, rispettivamente Comandante del reparto Operativo di Caltanissetta e Comandante della stazione di Riesi.

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10 Luglio 2014, 09:56

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