In memoria di Enzo

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01 Marzo 2010, 10:13

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di IGOR GELARDA Quel martedì normale era passato per me come tanti altri. Sin dalla mattina al lavoro, una manifestazione a piazza Indipendenza mi aveva impegnato fino al primo pomeriggio. Rientrato a casa, poco dopo le quattro, mi concedo un pranzo veloce e torno ad immergermi nel mondo dei miei amati Barbari. I Vandali, quelli antichi, popolo germanico, non quelli moderni, stupido frutto di un mondo in cancrena. La Storia è la mia passione, da sempre, per sempre. E proprio per parlare di Barbari e Romani ero andato, verso le 6 di quel martedì normalissimo, a parlare con un mio amico, uno storico importante, uomo di grande esperienza e saggezza. Ero andato a trovarlo nella sua casa, poco fuori Ballarò. Due ore passano velocissime parlando di avvenimenti accaduti mille e cinquecento anni fa me che, per noi appassionati del passato, sembrano essere appena avvenuti.

Poco dopo le 8 riprendo la strada verso casa. In venti minuti, percorrendo le viuzze dell’antico mercato, completamente deserto di sera, posso arrivare a casa. Ero contento di passare per le strade della Palermo antica, mi stavo facendo un piccolo regalo, passeggiando tranquillo tra palazzi e chiese della città felicissima. La serata era ventosa ma non fredda, e da qualche giorno si cominciava ad avvertire in città l’imminente arrivo della primavera. Casa. Cena, telegiornale, ancora telefono. E’ un mio amico di vecchia data. “Igor, hai saputo di Enzo? È stato accoltellato. È in fin di vita”.

Civico. Pronto soccorso. Non è stato accoltellato ma colpito ripetutamente al capo con un bastone. Scendo rapidamente da casa. Comincia a piovere a dirotto, il vento si fa più forte, la serata è ora preludio di tempesta.

Enzo Fragalà non era un mio amico in senso stretto, uno di quelli con cui condividevo spazi e tempi della mia vita. Tuttavia lo conoscevo, lo conoscevo da tanti anni, lo avevo visto tante volte, anche lui mi conosceva. Al di là degli incontri elettorali. Avevamo molte conoscenze in comune, magistrati, avvocati, uomini politici. In passato, in più di un’occasione mi era capitato di chiedergli consigli.  Una persona gentile, sempre disponibile. Lo avevo incontrato alcune settimane prima, in tribunale, ci eravamo salutati: “Fai sempre lo stesso lavoro Igor? Che speranze ci sono per te all’università?” “ Speranze nessuna o quasi….e faccio lo stesso lavoro anche se, ultimamente, proprio il lavoro mi ha dato qualche dispiacere”. Enzo era l’esatto contrario di quello che può essere considerato un uomo violento, irascibile. Non lo avevo mai visto incazzato. Ecco la cosa che mi disturbava più di tutto in questa vicenda, oltre ovviamente al fatto che lui era in fin di vita. Un episodio di violenza non era facilmente associabile ad Enzo Fragalà.

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Al pronto soccorso in quella serata ventosa c’è la famiglia, alcuni amici. Tra di loro sconforto, sdegno… ma non disperazione, forse perché tutto era avvenuto in modo così inatteso, o forse perché c’era ancora speranza. Saluto, chiedo informazioni. Qualcuno riesce a contattare il direttore sanitario del Civico, dicono che la situazione è grave. Enzo si trova adesso nel sotterraneo del pronto soccorso, a fare la Tac. Fuori piove, quel martedì non è più normale. Poco dopo giunge la notizia che Enzo sta per essere operato in neurochirurgia. Decido allora di lasciare il pronto soccorso e tutto il gruppo che, nel frattempo, si va facendo sempre più folto. Mi spingo fino al padiglione di neurochirurgia. Lo conosco bene, anche mio padre è passato da lì.

Davanti il complesso operatorio e l’ingresso del reparto di neurochirurgia, ci sono cinque o sei parenti dei ricoverati. Poltrone e sedie a sdraio per affrontare un’altra notte. Parlano sommessamente, si lamentano del vento che soffia forte, della sporcizia che c’è nel salone di ingresso. Di Enzo ancora nessuna traccia. Sono l’unico lì ad attendere per lui, tutto il resto del gruppo ancora al pronto soccorso. Forse ho capito male io il reparto. Passano alcuni minuti, il vento soffiava forte, i parenti dei ricoverati si lamentavano ancora. Avevo preso coscienza che quello non era più un martedì qualsiasi. Di Enzo non avevo notizie. Dieci, venti minuti forse. In lontananza un’ambulanza. Mi affaccio, sono al quarto piano, esce una barella dall’ambulanza, mi sembra lui. Arrivano al quarto piano, è lui. Enzo è con l’ossigeno. Vederlo in barella e con l’ossigeno mi pietrifica. L’avvocato Enzo Fragalà, stimato professionista palermitano, missino ai tempi del partito di Almirante, poi deputato di An, ora consigliere comunale in fin di vita, entra nel complesso operatorio, accompagnato dai due barellieri. Qualche istante dopo arriva un fotografo. “Sono già entrati?” mi chiede. Annuisco e lui molla un pugno alla porta, si arrabbia per essere arrivato in ritardo. Mi faccio la croce, recito la preghiera di S. Bernardo alla Madonna, l’ho appresa dalle Missionarie della Carità. “Ricordatevi, o pietosissima Vergine Maria….”. Poi basta, faccio il vuoto nella mia mente, mi siedo, aspetto. Nel giro di un’ora il salone antistante la sala operatoria si riempie. I parenti dei malati, che nel frattempo non si lamentano più della sporcizia dato che due addette alla pulizia hanno pulito tutto con incredibile rapidità e tempismo, mi chiedono: “ ma chistu cu è, appartiene puru a lei? Tutta sta gente n’tillicchiata ca, soprattutto i nuotte, un s’aveva vistu mai”. A un certo momento dalla sala operatoria esce un uomo, con un sacchetto di plastica trasparente in mano, con alcuni oggetti personali di Enzo. Vuole parlare con un familiare… penso per un attimo che voglia comunicare che Enzo sia morto. Gelo. Ma poi capisco che è solo per consegnare quel sacchetto. Ancora 20 minuti. L’aspirazione dell’ematoma sembra essere riuscita, dice il direttore Sanitario del Civico ai presenti, ma la situazione resta grave, gravissima. La gente in sala aumenta, adesso è sgomenta.

Enzo è una brava persona, un fattaccio del genere sarebbe potuto succedere a chiunque di loro, a chiunque di noi. La gente in sala aumenta: avvocati, magistrati, politici di An, alcuni ex missini, politici non di An e mai missini, gente comune, ossia senza incarichi istituzionali, il Sindaco della città. Il vento fischiava forte, dal quarto piano della neurochirurgia gli alberi del civico sembravano curvarsi sotto un cielo insanguinato. Io non c’ero nel 1943, ma immagino che anche alla fine del febbraio di quell’anno, quando gli anglo-americani devastarono la città con le loro bombe, ai palermitani doveva presentarsi un cielo simile a quello del del 23 febbraio del 2010. Sporco di sangue innocente. La gente in sala aumentava, aumentava, mentre a Palermo, diminuiva il numero delle brave persone. Indagini, sospetti, piste, colpevoli e giustizia, sono parole che, dentro la sofferenza di quell’ospedale, sembravano buone solo a riempire le bocche dei cronisti assetati di notizie.

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01 Marzo 2010, 10:13

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