14 Aprile 2015, 20:46
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PALERMO – La lettera è arrivata a tutte le prefetture, siciliane comprese. Ma è a quelle della penisola che si rivolge davvero. Perché il fabbisogno di 6.500 posti che il Viminale ha messo nero su bianco nel grido d’allarme lanciato agli uffici territoriali di tutta Italia punta proprio ad alleviare il peso dell’immigrazione che la Sicilia porta. I numeri parlano chiaro: 11.761 stranieri arrivati nell’Isola dall’inizio del 2015 ai primi giorni di aprile, senza contare quelli giunti oggi a Palermo e ieri a Pozzallo. E per lo più rimasti qui. Non i soli: “Negli ultimi anni – dice Francesco Bongiorno, responsabile del Piano di contingenza sanitaria per l’assessorato regionale alla Sanità – abbiamo accolto 140 mila persone. Molte di loro sono ancora in Sicilia”.
Ancora in Sicilia, dove nel frattempo le strutture d’accoglienza sono proliferate. Come le sigle che li identificano: Cara, Cpsa, Cie, Sprar, Cas, con ciascun acronimo chiamato a compensare i limiti di capienza del precedente. Perché una cosa è certa: le strutture governative, che in Sicilia possono ospitare circa cinquemila persone, anche al di là degli scandali che negli ultimi anni li hanno riguardati non bastano per far fronte all’ondata di migranti. “E in quest’ambito – si sfoga Bongiorno – ci si limita alla gestione dell’emergenza. Non si pensa al futuro: quando cessa l’allarme contingente, si fa finta che il problema non ci sia più. Per aprire un Cara o un Cpsa, fra l’aggiudicazione e tutto il resto, ci vogliono almeno due anni. Ci vuole un progetto”.
Il progetto, al momento, si è limitato a cinque strutture governative. Tre Cara, cioè Centri di accoglienza per richiedenti asilo, e due Cpsa, cioè Centri di primo soccorso e accoglienza. Il più grande è quello balzato agli onori della cronaca per l’inchiesta “Mafia capitale”: il Cara di Mineo, in provincia di Catania, può ospitare fino a quattromila migranti, a condizione che rispettino i criteri per chiedere asilo politico in Italia, che siano cioè in fuga da Paesi in guerra o a rischio di persecuzione politica. Decisamente più piccoli sono gli altri due Cara: sia a Trapani che a Pian del Lago, alla periferia di Caltanissetta, non si va oltre i 250 ospiti. Queste due strutture, però, fungono anche da Cie, cioè Centro di identificazione ed espulsione: qui rimangono, ma solo per poche ore, gli stranieri che lo Stato rimanda indietro.
Molto meno strutturata è la capacità di accoglienza governativa per i migranti senza diritto di asilo. Il più grande Cpsa è quello di Pozzallo, che ospita circa cinquecento persone e assorbe una buona parte degli sbarchi. Il resto va a Lampedusa, dove però i numeri sono in più costante aggiornamento: il centro – che nel 2013 è stato a sua volta coinvolto in uno scandalo per un filmato-choc nel quale si vedevano alcuni immigrati disinfettati con una pompa – ospita circa 300 persone, ma il ricambio è pressoché costante. Da qui, infatti, gli immigrati vengono “smistati” verso i Cara, se ne hanno i requisiti, o verso le altre strutture. Quelle non governative.
Perché è sulle strutture non governative che il sistema si regge. Qui entrano in gioco le altre sigle: gli Sprar, cioè i presidi del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, e i Cas, cioè i Centri di accoglienza straordinari. I primi sono gestiti da Comuni e associazioni di volontariato, hanno una capienza media di 30 posti e in Sicilia offrono ospitalità a circa 2.500 persone, i secondi sono nelle mani dei privati convenzionati con le prefetture. Ed è qui che arriva la gran parte degli immigrati: i Cas in Sicilia sono circa 250 e hanno una capienza media di 50-60 posti, per un totale stimato di 12-15 mila migranti ospitati. “Il punto – annota Bongiorno – è che mentre le strutture governative offrono assistenza sanitaria diretta, nei Cas le cure mediche sono delegate alle Asp. Cioè al servizio sanitario regionale”. E i costi pesano sulle già disastrate casse della sanità siciliana.
Il nodo è tutto qui. Bongiorno lo chiama “il collo di bottiglia”: “Il problema – osserva il responsabile del Piano di contingenza sanitaria – è la mobilità. Gli immigrati stanno anche un anno dentro un Cas”. Con alcuni casi-limite: a Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, ci sono addirittura quattro Cas che ospitano complessivamente circa 300 persone, e nel 2013, per non ridurre l’assistenza sanitaria agli autoctoni, l’Asp di Palermo è stata costretta ad aprire un ambulatorio dedicato. “La Sicilia – commenta Bongiorno – dovrebbe essere una terra di passaggio, bisognerebbe condividere più efficacemente il problema con le altre Regioni. Invece i migranti restano qui”. Se ne è accorta persino l’Europa, visto che dopo gli sbarchi delle ultime ore e quelli previsti per domani il commissario europeo all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ha annunciato una visita in Sicilia per la prossima settimana. Un incontro con il ministro degli Interni Angelino Alfano per discutere dell’emergenza. Già, perché il motore è sempre quello. Spesso solo quello.
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14 Aprile 2015, 20:46