Alcamo, incendiano i mezzi della ditta concorrente: 4 arresti - Live Sicilia

Fuoco ai mezzi della ditta concorrente, poi la tentata estorsione: arresti VIDEO

Quattro palermitani finiscono in carcere

ALCAMO (TRAPANI) – L’obiettivo era battere la concorrenza nel campo del trasporto merci, danneggiando gli automezzi della società avversa, appiccando il fuoco e poi tentando la via della estorsione. Un classico metodo mafioso, ma Cosa nostra non c’entra nelle indagini che, coordinate dalla procura di Trapani, dal pm Antonio D’Antona, e condotte dai Carabinieri della Compagnia di Alcamo, guidati dal capitano Luca de Vito, sono sfociate la scorsa notte in quattro arresti tra Palermo e Villabate. Gli arrestati, tutti palermitani, finiti in carcere, sono accusati di incendio, tentata estorsione e ricettazione.

Gli arrestati

Il gip del Tribunale di Trapani, giudice Roberta Nodari, ha accolto la richiesta del pm. I carabinieri hanno arrestato David Gabriele, 41 anni, ideatore ed organizzatore del raid, Giovanni, Carmelo e Maurizio Andolina, rispettivamente di 61, 32 e 46 anni. I primi tre residenti a Palermo, il quarto a Villabate. Giovanni e Carmelo Andolina sono padre e figlio, loro sarebbero gli esecutori dell’intimidazione, avendo avuto come complice Maurizio Andolina, cugino di Giovanni. Maurizio Andolina e David Gabriele rispondono di tentata estorsione. L’indagine peraltro ha fatto scoprire come Carmelo Andolina, sottoposto ai domiciliari, era solito lasciare l’abitazione, anche in occasione dell’incendio doloso del quale è incolpato. Durante colloqui col padre in carcere, dove nel frattempo è stato sottoposto a detenzione per altra misura cautelare, Carmelo Andolina saputo delle indagini dei carabinieri per il rogo compiuto, in più occasioni gli ricordava di far sparire il suo cellulare attraverso il quale potevano scoprirsi i suoi spostamenti.

I fatti

Tra febbraio e giugno 2021 una serie di incendi hanno riguardato gli automezzi custoditi nel parco macchine di una società di trasporto alcamese, la Signorino srl, all’interno dell’area della ditta Kortimed sud, nell’area industriale di Alcamo. Il raid più grave la notte del 10 febbraio 2021, causò danni per oltre 30mila euro e fu provvidenziale il transito nella zona di una guardia giurata che avvertì subito i vigili del fuoco. Giovanni e Carmelo Andolina si sarebbero recati presso la sede della società alcamese dove avrebbero dato fuoco ai mezzi pesanti ivi presenti dopo averli cosparsi di liquido infiammabile. Per nascondere eventuali tracce, avrebbero anche incendiato l’auto utilizzata per raggiungere Alcamo (una Fiat 500 appositamente rubata per i loro spostamenti), dandosi poi alla fuga con una seconda autovettura. A bordo il cugino, Maurizio Andolina proprietario di una società di trasporti nella Provincia di Palermo. Un rogo voluto da David Gabriele, titolare della GT Group, che così avrebbe cercato di impedire che la ditta alcamese interferisse nell’affidamento dei trasporti da e per la Sicilia occidentale.

La ricostruzione

La Kortimed srl è una ditta toscana che si occupa di trasporto merci e per la Sicilia aveva stretto un accordo con la GT Group della quale amministratore unico è uno degli arrestatiDavid Gabriel, detto Davide. A gennaio 2020 nasce la Kortimed sud, con sede a Livorno, e in Sicilia acquisisce il parco macchina della ditta Signorino Trasporti che veniva posta in liquidazione. La fusione tra le due aziende risultò essere dannosa per la GT Group che dalla Kortimed non ricevette più le cospicue commesse di una volta. Da qui secondo le indagini dei Carabinieri la ritorsione messa in atto col fuoco per colpire i titolari della Signorino e sopratutto quelli della Kortimed.

Le intercettazioni

Quasi da subito agli investigatori dell’arma il quadro è apparso chiaro. Un primo colloquio tra David Gabriele e Maurizio Andolina, titolare della “Autotrasporti fratelli Andolina”, svela il rancore verso la Kortimed. Andolina parla con Gabriele, lo chiama “nipote”, dicendo che “per questo lavoro con la Kortimed ci siamo ammazzati …poi ci pugnala sempre”. Quando scattano poi le convocazioni dei sospettati in caserma ad Alcamo, le intercettazioni dimostrano un certo nervosismo. Si susseguono le chiamate tra i sospettati che si danno appuntamento in più occasioni. Poi convocati dai carabinieri negavano le reciproche conoscenze e frequentazioni. “Pensa che se è quello che penso io – diceva Maurizio Andolina alla figlia – cinque anni di galera ci sono…sono andato a far del bene e la prendo nel c…”. Maurizio Andolina secondo l’accusa avrebbe atteso che gli altri due, Giovanni e Carmelo Andolina, padre e figlio, mettessero a segno l’incendio all’interno del parco macchine della Signorino, per prenderli sulla sua auto, una Kia, e riaccompagnarli a Palermo, dopo che intanto veniva incendiata anche l’auto, una Fiat 500, risultata rubata, che i tre autori dell’incendio avevano utilizzato nel viaggio di andata da Palermo ad Alcamo.

La mafia non c’è, ma resta sullo sfondo

Cosa nostra con il fatto non c’entra, ma ad un certo punto un boss di mafia, annotano i carabinieri, fa la comparsa sulla scena. Si tratta di Sebastiano Vinciguerra, un soggetto già condannato per associazione mafiosa. A lui si rivolge Gabriele per consigliare Andolina sul da farsi. Vinciguerra suggerisce così a Maurizio Andolina di dire ai carabinieri che i suoi spostamenti su Alcamo (oltre quello della notte del raid incendiario, c’erano anche quelli per fare i sopralluoghi) erano legati al fatto di avere lì una relazione extraconiugale con una donna del posto. Circostanza che poi Andolina poco dopo spiegava anche a sua moglie, “suo parrino (Vinciguerra è appellato così dal Gabriele ndr) mi ha consigliato di far così”. Ci sono poi le intercettazioni in carcere tra Giovanni Andolina, e suo figlio Carmelo, tornato a stare dietro le sbarre: Carmelo diceva al padre che si doveva far dare “i piccioli”, “i piccioli mi deve dare”, riferito secondo Procura e Carabinieri a Maurizio Andolina. Tanto a diventare minaccioso parlando con suo padre. “…appena esco gli faccio uscire il sangue dal culo…ti faccio vedere io gliela faccio pagare…gli faccio vedere quanto valgo io e quanto vale lui…con me ha sbagliato proprio perché siamo parenti, cugini, a me non mi vengono nulla, cugini…ti faccio vedere io”. A essere a conoscenza di come erano andati i fatti era l’intera famiglia.

Le videocamere

Un lavoro certosino dei carabinieri ha permesso di seguire i movimenti della gang la sera dell’incendio ad Alcamo. In modo minuzioso sono state visionate le video camere sul circuito cittadino palermitano e poi sull’autostrada. Hanno così visto benissimo nel viaggio di andata la Fiat 500 guidata da Giovanni girandolina e seguita dalla Kia con alla guida Maurizio Andolina. E poi sul percorso inverso a notte fonda la sola Kia di Maurizio Andolina con a bordo i due cugini. Ma a parte il trojan che dal cellulare di Maurizio Andolina ha funzionato bene per le intercettazioni ambientali, a incastrare quest’ultimo è stato anche il gps installato sulla sua auto, che ha così permesso di scoprire i suoi spostamenti su Alcamo. Tanto che all’uscita da un interrogatorio davanti ai carabinieri, Maurizio Andolina, pensando che le indagini erano ancora nella fase iniziale, confidava alla moglie di dover togliere il gps dall’auto, ma questo quando oramai gli investigatori avevano acquisito tutti i dati.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI