10 Febbraio 2017, 16:07
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PALERMO – “Te ccà, chista è tua madre”, le disse l’operaio del cimitero dei Rotoli di Palermo mostrandole un mucchietto di ossa preso a casaccio dalla tomba. Quei resti, testimonianza della caducità umana, la signora Rita non li aveva riconosciuti. Aveva cercato invano in quel cumulo di bare e ossa ammassate senza ordine alcuno un segno distintivo della mamma morta un ventennio prima. Si aspettava di trovare almeno i frammenti del vestito che indossava il giorno in cui le diede l’ultimo bacio. Non poteva essersi sbagliata, gelosa com’era stata nel custodire la cintura di quell’abito “marrone a fantasia”.
Nel 2014 era stata convocata per riesumare la salma e trasferirne i resti nell’ossario. Di fronte al suo “no, non è mia madre”, sarebbe seguita la reazione scomposta dell’operaio, una denuncia e un’inchiesta che ci consegna lo spaccato di una città che non rispetta i suoi morti.
La nota dei carabinieri a conclusione delle indagini è un schiaffo alla dignità dei palermitani: “Si evidenzia la totale assenza di atti amministrativi in grado di chiarire la sequenza di sepolture e tumulazioni così da fare presupporre uno scellerato utilizzo della tomba negli anni ’80-’90 caratterizzato dalla totale assenza di documenti se non quelli con i nomi dei defunti ivi posti almeno ufficialmente”.
Ecco il cuore della questione, ai Rotoli non avrebbero avuto rispetto né per i morti, né per i vivi che piangono sulle ceneri di persone che forse neppure conoscono. Credendo di trovare sotto le lapidi il conforto dei parenti, ma non c’è alcuna certezza che vi siano davvero seppelliti i loro affetti più cari.
Nella tomba della signora Rita le bare erano ammassate. Una sull’altra, senza targhette di riconoscimento. È stato lo stesso servizio cimiteriale del Comune ad ammettere che “a seguito di un monitoraggio delle sepolture nei cimiteri comunali nelle quali si è riscontrata una gestione irregolare del sepolcro”. Nel caso specifico “si evince che sono state effettuate operazioni di tumulazione di soggetti non appartenenti al nucleo familiare del concessionario”. Risultato: il Comune ha requisito la sepoltura.
Ai Rotoli per anni ha regnato il caos, in spregio ad ogni regola. E se nei cimiteri si rispecchia l’anima profonda di una città è inevitabile che a Palermo emerga il tanfo di Cosa nostra. Perché la tomba dello scandalo è stata realizzata da un costruttore in carcere per mafia. Agganciato dai parenti della vittima in anni in cui le sepolture, che ufficialmente scarseggiavano ma si vendevano a peso d’oro in un vergognoso mercato parallelo, fu il costruttore a proporsi per trovare una sistemazione al caro estinto. E la signora Rita mise mano al portafogli assieme ai parenti, mossa da un sentimento di pietà. Quella sepoltura la pagò a caro prezzo. Sono passati tanti anni per ricordare con precisione la cifra.
Il fascicolo è passato dalle mani di diversi pubblici ministeri. L’ultimo, Marina Ingoglia, ha chiesto di archiviare l’inchiesta aperta per il reato di abuso d’ufficio. Dalla verifica del registro mortuario “non risulta in alcun modo l’adozione di provvedimenti cartolari da parte del personale della direzione del Cimitero dei Rotoli in grado di chiarire la sequenza di sepolture e di tumulazioni effettuati”. Tutto ciò non basta, però, secondo il pm per “cogliersi la deliberata volontà del personale amministrativo di arrecare un danno ingiusto alla denunciante”. Come dire, il caos gestionale e la “scelleratezza” di cui parlavano i carabinieri non sono sufficienti per sostenere in giudizio l’accusa di abuso d’ufficio in un processo. Per questo tipo di reato serve il dolo. Non è d’accordo il giudice per le indagini preliminari Lorenzo Matassa che ha deciso, per il momento, di non archiviare. Vuole ripartire, forse, proprio dalla gestione cimiteriale. Sarà difficile, però, garantire a chi ha denunciato la certezza di potere piangere sulle ceneri della madre. Non c’è certezza, infatti, che quel “Te ccà, chista è tua madre”, oltre ad essere sprezzante fosse stato almeno veritiero.
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10 Febbraio 2017, 16:07