23 Febbraio 2015, 16:34
3 min di lettura
PALERMO – Il ricorso è inammissibile. Dopo il Riesame, anche la Cassazione dà ragione alla difesa e conferma l’annullamento del sequestro per equivalente dei beni che aveva colpito gli indagati del caso Nomura. Al centro del presunto scandalo politico-finanziario c’era la cartolarizzazione dei debiti sanitari dell’allora governo presieduto da Totò Cuffaro.
Non si conoscono ancora le motivazioni, ma davanti ai Supremi giudici dovrebbe avere retto il ragionamento sostenuto nei mesi scorsi dal Tribunale del Riesame: la Regione siciliana conosceva, “al centesimo”, tutti i termini finanziari dell’accordo con Nomura. Secondo il collegio che aveva annullato il sequestro, l’amministrazione regionale non poteva essere considerata un “minus habens” o “un piccolo risparmiatore sprovveduto”. Insomma, “poteva fare saltare l’accordo” con la banca giapponese. Ecco perché non c’erano elementi “conducenti ai fini di configurare una truffa”.
E così era stato annullato il mega sequestro da 104 milioni disposto dal giudice per indagini preliminari a fine luglio scorso. Un sequestro preventivo e per equivalente, fino a coprire l’ammontare complessivo dell’eventuale danno, che aveva colpito beni e società della banca di investimenti giapponese e degli altri indagati: Fulvio Reina, Marcello Massinelli, titolari della società di intermediazioni LM Consulting, Marco Modica De Mohac, presidente del Consorzio aziende sanitarie siciliane, e gli ex manager della sede londinese di Nomura Armando Vallini, Andrea Giordani, Stefano Ghersi e Arturo De Visdomini. I legali delle difese, tra cui gli avvocati Alberto Polizzi, Antonio Gattuso e Teo Calderone, avevano attaccato l’inchiesta alla radice, sostenendo l’inesistenza del fumus della truffa. E il collegio aveva dato loro ragione.
Tra i passaggi contestati dalla Procura c’era, ad esempio, quello che la Regione avrebbe potuto risparmiare se solo avesse scelto di fare un mutuo con la Cassa depositi e prestiti. Sul punto il collegio presieduto da Antonella Consiglio aveva definito il “ventilato” mutuo come “non percorribile” perché allora si poteva accendere solo per investimenti e non per coprire buchi di bilancio nelle amministrazioni pubbliche. Il riferimento è all’urgenza con cui la Regione, alla fine degli anni Novanta, doveva saldare il conto con le aziende sanitarie, a rischio default per via dei crediti non incassati.
“Non appare sindacabile la scelta, anche politica se vogliamo, – sosteneva pure il collegio – di ricorrere al tasso fisso”. Ed ancora , nel sottolineare la correttezza dell’operato della banca, si leggeva nella motivazione : “Nomura ha effettuato due offerte alla pubblica amministrazione e quest’ultima è stata messa perfettamente in condizioni di soppesarle, valutarle e scegliere liberamente quella ritenuta più conveniente (la valutazione di convenienza non è legata soltanto ai minori costi ma anche alla convenienza politica, ai minori rischi per la pubblica amministrazione, ed alla maggiore velocità garantita per la risoluzione del problema che era poi quello di soddisfare i fornitori della Usl in tempi brevi, evitando maggiori oneri per interessi e spese legali”.
L’ipotesi iniziale era che Nomura avesse incassato 48 milioni di euro. Dieci volte in più del prezzo di mercato. Il Riesame sottolineò che “la pubblica amministrazione è stata messa nelle condizioni di orientarsi e determinarsi a ragion veduta” e “non appare neanche configurabile un profitto ingiusto”. La Procura aveva fatto ricorso in Cassazione, adesso respinto dai supremi giudici. Le motivazioni saranno depositate nei prossimi giorni.
Pubblicato il
23 Febbraio 2015, 16:34