Il parto al Santo Bambino |Deborah e la giustizia per il figlio

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08 Dicembre 2016, 12:57

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CATANIA – Deborah non vuole parlare. Preferisce dedicarsi al suo bambino e restare fuori da qualsiasi palcoscenico mediatico. La sua storia, drammatica, è diventata di dominio pubblico lunedì scorso attraverso una nota diramata dalla Procura di Catania che ha diffuso la notizia “dell’ordinanza di applicazione della misura interdittiva della sospensione dell’esercizio del pubblico ufficio di medico a carico di tre medici del Santo Bambino”.

A parlare è l’avvocato di Deborah Gianluca Firrone che ripercorre gli step (anche legali) che hanno portato ad aprire la delicata indagine. Quel giorno, il 2 luglio 2015, la giovane mamma è entrata al Santo Bambino alle 6 del mattino. Il parto è avvenuto alle 15 del pomeriggio dopo un lungo travaglio. L’orario però era a cavallo del cambio turno al reparto. “Per evitare di rimanere a lavorare oltre il proprio orario di lavoro – scrive la magistratura – i medici coinvolti non soltanto avrebbero omesso di procedere con un intervento immediato cesareo, nonostante i molteplici episodi di sofferenza fetale che il tracciato evidenziava, ma addirittura, avrebbero somministrato alla paziente l’atropina, controindicata in presenza di sofferenza fetale, simulando, in questo modo, la regolarità del tracciato in realtà non sussistente”.

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“Immediatamente dopo il parto la signora ha capito che qualcosa non era andato per il verso giusto e si è rivolta immediatamente a noi – racconta l’avvocato – insieme al marito ed abbiamo presentato un esposto alla Procura della Repubblica. Si sono aperte le indagini con il sequestro della cartella clinica, dopodiché la Procura è stata solerte e attenta. Qualche mese dopo è stato eseguito l’incidente probatorio con i periti che hanno visitato il bambino” per determinarne le condizioni di salute. “Il neonato – scrive sempre la magistratura etnea – ha riportato lesioni gravissime: grave encelopatia ipossico-ischemica, tetra paresi spastica, grave ritardo psicomotorio, microcefalea, epilessia generalizzata sintomatica”. Agli accertamenti peritali hanno partecipato anche i consulenti nominati da Gianluca Firrone, come legale della parte offesa, dai difensori degli indagati.

Nella fase embrionale dell’indagine i nomi iscritti nel registro degli indagati erano otto. Può essere dunque che una volta chiusa l’inchiesta la Procura potrebbe chiedere il rinvio a giudizio non solo per le tre dottoresse destinatarie della sospensione all’esercizio della professione medica. “Noi naturalmente ci costituiremo parte civile nel processo che verrà” – afferma Firrone. Ma la battaglia di Deborah ha anche un altro obiettivo oltre quello di ottenere giustizia per il figlio. “La cosa più importante che interessa la signora – conclude l’avvocato –  è che un avvenimento del genere non capiti più e non ci siano altre mamme costrette a vivere il dramma che ha vissuto questa giovane coppia con il loro bambino. Chi si affida a una struttura pubblica non può mai pensare a situazioni del genere, a falsificazioni di cartelle cliniche o al disinteresse di medici e ostetriche. Un episodio veramente molto grave”.

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08 Dicembre 2016, 12:57

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