Vittima ma anche indagato | La doppia veste di Gennuso - Live Sicilia

Vittima ma anche indagato | La doppia veste di Gennuso

A Palermo il deputato sarebbe vittima di una tentata estorsione ma non si è costituito parte civile

Il personaggio
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PALERMO – Vittima e indagato. L’onorevole Giuseppe Gennuso è protagonista di due differenti inchieste. La prima è già in fase processuale. Il boss palermitano di corso dei Mille, Cosimo Vernengo, il figlio Giorgio e Paola Durante sono accusati di estorsione. Avrebbero chiesto il pizzo per lasciare il bar della sala Bingo che i Gennuso hanno preso in gestione nel rione Guadagna di Palermo.

Circostanza che emergeva dalla denuncia delle vittime: “Durante l’incontro la donna mi disse che, siccome dovevamo al titolare 50.000 avremmo dovuto pagare intanto 5.000,00 euro in contanti per i prodotti alimentari in giacenza… la donna mi presentava una fattura emessa dalla società A.F. Serramenti sas di Riposto (CT) per un importo di 3.050 euro per lavori mai effettuati presso la sala bingo”. I Gennuso, però, non si sono costituiti parte civile al processo. I legali degli imputati, gli avvocati Rosalba Di Gregorio e Michele Calantropo, sostengono una tesi diversa: i soldi altro non erano che il pagamento per l’avviamento del bar e i macchinari lasciati in dotazione. Niente pizzo, dunque. Era una legittima richiesta dei Vernengo, al di là del cognome che portano. E non ci fu alcun clima di terrore come emergerebbe dal contenuto di alcune conversazioni intercettate e dal tenore confidenziale. Gennuso non ci sta. Aveva comprato azienda e locali, materiali compresi. Ogni altra richiesta era superflua ed è stata assecondata per paura: “Le fatture erano l’unico modo per giustificare l’esborso di denaro. Ma i lavori non sono mai stati fatti. Ho pagato infissi che non mi sono stati consegnati. Mi sono sottomesso”.

Nel maggio scorso il giudice per le indagini preliminari non ha archiviato, imponendo nuove indagini, l’inchiesta che vede coinvolti anche Raffaele De Lipsisi, ex presidente del Cga siciliano, e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore poi finiti nei guai anche a Messina. Il nome di De Lipsis venne fuori nel ricorso per le cosiddette elezioni suppletive nel Siracusano. Era lui a presiedere il collegio del Consiglio di giustizia amministrativa che nel 2014 accolse il ricorso dell’onorevole Giuseppe Gennuso. Fu invalidato il voto in alcune sezioni elettorali di Rosolini e Pachino dove sarebbero spartite delle schede. Diverse persone, prima ancora che la sentenza venisse pubblicata, fecero sapere a Gennuso che era “tutto a posto”. Avevano saputo dall’avvocato Piero Amara dell’esito positivo della causa. C’era pure chi diceva: “… gli hanno fottuto i soldi, i giudici… questo scherzetto gli è costato 200 mila euro”. Si parlava di sentenze comprate? Gennuso influenzò la decisione dei giudici?

Secondo il Gip, emergono condotte e situazioni dalle quali si evince ictu oculi “un’attività dell’onorevole Giuseppe Gennuso diretta a influenzare l’esito del giudizio presso il Consiglio di giustizia amministrativa”. Non era dello stesso parere la Procura che aveva chiesto l’archiviazione per tutti i quattordici indagati. Secondo la Procura, infatti, Gennuso si era solo ed esclusivamente interessato degli aspetti tecnico-giuridici e politici della vicenda. Insomma, nessuna pressione o interferenza illecita.


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