19 Dicembre 2015, 19:00
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Mi spiace deludere Roberto Puglisi, se gli chiarisco ciò che a tutti era chiaro, e cioè che ho parlato di Totò Cuffaro da semplice cittadino, e se Puglisi dice che perciò la mia voce vale meno di zero l’offesa la rivolge ai semplici cittadini che delle politiche del sistema malato della Sicilia, di cui Cuffaro è stato autorevole esponente, pagano un altissimo prezzo in termini di dissesto finanziario della Regione, di tagli ai servizi, di clientele che hanno sostituito per decenni lo stato di diritto.
Ebbene, se parlo da semplice cittadino è perché tale mi sento, ma parlo da cittadino che conosce i fatti, conosce la Sicilia per averci vissuto e lavorato per oltre 50 anni e conosce il sistema politico-clientelare-mafioso per averlo combattuto, quello sì, da pm, per decenni. Un sistema che, evidentemente, non si riesce a superare, neppure sul piano culturale, visto che ancora oggi risulta più facile attaccare un ex pm piuttosto che criticare un potente del passato che potrebbe tornare ad esserlo. Insomma, meglio stare dalla parte del più forte contro chi ha scelto di stare dalla parte dei più deboli e degli onesti.
Caro Puglisi, non ho parlato certo da pm, perché in tal caso avrei ricordato le ragioni per cui Cuffaro avrebbe dovuto chiedere scusa ai siciliani per avere, da presidente della Regione, favorito i personaggi mafiosi per cui è stato condannato definitivamente e per il quale sono sempre stato convinto, insieme al mio collega Nino Di Matteo (lo ricordo per inciso, condannato a morte da Riina), che anzi Cuffaro avrebbe dovuto essere processato non solo per favoreggiamento ma per il più grave reato di concorso esterno alla mafia.
Da pm avrei ricordato anche che i più importanti processi contro potenti e colletti bianchi li ho sempre portati a termine con condanne definitive. Dai politici della prima Repubblica come Franz Gorgone e Francesco Inzerillo, ad alti funzionari dello Stato come Bruno Contrada, fino al fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, tutti definitivamente condannati per il loro sostegno all’associazione mafiosa, quella stessa associazione mafiosa che ha insanguinato la nostra isola. E non parlo neppure di tutti i processi istruiti contro mafiosi per gravi fatti di sangue, poi condannati, fino alla recente condanna degli assassini di Mauro Rostagno. Per questo non credo, come scrive invece Puglisi, che sarebbero solo i maligni a ringraziare dio perché non sono più pm, perché credo che impropriamente ringrazino dio soprattutto gli appartenenti al sistema clientelare-mafioso, di cui Cuffaro è stato un autorevole esponente. Ma per fortuna alla procura di Palermo ci sono ancora validissimi ex colleghi che continuano l’opera di Falcone e Borsellino.
E non ho parlato, evidentemente, neanche da amministratore di Sicilia e-Servizi, perché in tal caso avrei ricordato le responsabilità di Cuffaro per avere contribuito a consegnare le chiavi dell’azienda regionale a un socio privato che ha potuto fare il bello e il cattivo tempo comportandosi da padrone assoluto della gestione informatica pubblica con costi paurosamente lievitati di almeno cinque volte rispetto amianto registro e con procedure poco chiare. Ed anche di questo, seppure insieme ad altri, Cuffaro è certamente responsabile. Non a caso l’Anticorruzione di Raffaele Cantone ha denunciato pubblicamente la gestione di Sicilia e-Servizi di quei primi anni.
Ma soprattutto non ho parlato da “gran ciambellano del crocettismo”, visto che Crocetta non è stato da me mai sostenuto come Presidente della Regione (e’ noto che io sostenni prima Claudio Fava e poi Giovanna Marano, e rifiutai l’offerta di Crocetta di candidarmi con lui come vicepresidente della Regione), ne’ ho mai nascosto – quando era il caso – critiche e perplessità.
Per tornare all’invettiva di Puglisi contro di me, cittadino, partigiano della Costituzione, moralizzatore, gran ciambellano e amministratore di una partecipata, non ho mai pensato che Cuffaro non possa dire quel che pensa. Ha ritrovato la libertà dopo aver pagato per i reati per cui è stato condannato, ma nel momento stesso in cui parla non può neanche pretendere che nessuno replichi a quel che dice. Se poi qualcuno si sente in dovere di difenderlo è un problema di chi lo difende, non mio. Ma almeno la difesa sia nel merito.
Antonio Ingroia
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19 Dicembre 2015, 19:00