“Ingroia non può sapere| cosa si prova a essere Giovanni”

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11 Luglio 2012, 20:56

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La solitudine, le incomprensioni e le invidie. Di questi sentimenti, oltre al coraggio e all’amore di poche persone vicine, era costellata la vita di Giovanni Falcone. Il magistrato italiano che ha compreso e scosso il sistema mafioso siciliano, prima di saltare in aria durante il tristemente noto attentato del 23 maggio del 92.

Solo e ostacolato in vita, eroe da morto: “ Ai vivi non vengono mai riconosciuti grossi meriti. Ai morti sì, perchè non creano più problemi”. Parla così Maria Falcone del fratello Giovanni, e lo fa in occasione della presentazione del suo libro, scritto a quattro mani con Francesco Barra, “Giovanni Falcone. Un eroe solo”.

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Non risparmia parole chiare su Antonio Ingroia, il magistrato attaccato in questi giorni da politici e stampa per gli ultimi sviluppi dell’inchiesta della trattativa Stato – mafia, anche se è sulla solitudine che la sorella del magistrato ucciso dalla mafia si sofferma maggiormente: “La vita che conducono i magistrati di oggi non è paragonabile alla vita di mio fratello – afferma Maria Falcone alle telecamere del Fatto Quotidiano tv – Giovanni era solo. Ingroia, per esempio, non sa cosa si prova ad essere Falcone. Ingroia deve capire che ha alle spalle tutta una società che lo appoggia. Mio fratello non l’aveva”. In base alle affermazione della professoressa Falcone quando suo fratello cominciò la sua battaglia alla mafia, questa stessa parola non esisteva ancora, non era compresa a fondo dalla società palermitana. Contro di lui, inoltre, gli esponenti politici di tutti gli schieramenti: “lo vedevano come un pericolo”, e gli stessi colleghi magistrati, che guardando le copertine delle più famose riviste internazionali dedicate a Falcone, provavano fastidio ed invidia: “E’ risaputo – ha commentato Maria Falcone – che mio fratello fu più amato all’estero che in Italia”.

E tornando all’attualità, la sorella del magistrato parla dell’inchiesta sulla trattativa Stato – mafia: “Io credo che ci sia stata sicuramente una trattativa, tutto il resto lo deve stabilire la magistratura. Ma, a prescindere dai metodi che ogni magistrato può utilizzare, si pone un problema sull’utilizzo delle intercettazioni. Quelle non utili ai fini della vera lotta alla mafia, non andrebbero pubblicate”. Maria Falcone, parla chiaramente delle intercettazioni, rese pubbliche dalla stampa, fra il giudice D’Ambrosio e Mancino: “Le risposte di D’Ambrosio intercettate, sono parole irrilevanti, secondo me, ai fini dell’inchiesta. Sono parole che di solito un uomo delle istituzioni usa per tenere buono qualcuno, rassicurazioni di nessun conto”.

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11 Luglio 2012, 20:56

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