Ingroia non si rassegna | Si crede ancora il potente pm che fu

di

19 Marzo 2016, 19:20

4 min di lettura

PALERMO – Pare che Antonio Ingroia, in queste ore, abbia inviato una lettera agli uffici della Regione. Una missiva con la quale l’ex pm fornisce un’interpretazione sull’articolo dell’ultima Finanziaria che di fatto ha tolto a Sicilia e-servizi il monopolio della gestione dell’informatica siciliana. Se la realtà aderisce anche solo in parte all’indiscrezione che filtra dai palazzi, siamo di fronte a un paradosso che si aggiunge a un elenco che inizia a farsi un po’ lungo. Un amministratore esterno scelto e pagato dalla Regione, insomma, spiegherebbe il significato e persino l’intenzione di una norma decisa, discussa e approvata da un intero parlamento.

Se fosse vero, insomma, sarebbe roba da capogiro. Da indigestione certa, per il miscuglio di poteri, diritti e ruoli di una Regione che in questi tre anni e mezzo, tra governo e sottogoverno, ha presentato ai siciliani donne, fanti e re di carta in gran quantità, senza riuscire mai a sistemare la “settanta” dei conti e degli scontri.

E nel caso di Ingroia, viaggiamo su quel terreno minato dove a ogni passo rischia di esplodere la solita mina: “Io davo la caccia ai mafiosi”, bum! “Io ero allievo di Paolo Borsellino”, bum! E come si fa, allora, a pensare che magari, un semplice rappresentante come altri di una società regionale come tante altre, possa essere andato più volte al di là del suo ruolo? Come se fosse preso da una sindrome di onnipotenza coltivata e irrigata dal suo dante causa (e stipendio) cioè Rosario Crocetta? Un governatore, per intenderci, asceso alla poltrona più pregiata di Palazzo d’Orleans, giungendo più o meno dallo stesso minatissimo campo: “Io ho fatto arrestare centinaia e centinaia di mafiosi a Gela”, bum! “Io sono un condannato a morte dalla mafia”, bum! E come si fa a dire che nel frattempo non ne hanno indovinata una? Ne’ al governo ne’ nel sottogoverno?

Lì, negli anfratti di una pubblica amministrazione dove si è comodamente acquattato Ingroia. In quella nicchia di potere, in fondo, nella quale ha cercato di far entrare anche il suo brillante passato e qualche ambizione enorme e sgonfia, come quella di diventare premier.

Ma persino dalla poltroncina di una partecipata regionale, Ingroia appare ancora pm e premier. Al di sopra di tutto, anche di quella legge che dovrebbe apparire il binario obbligato per chi può vantare (senza ironia) una storia come la sua. E invece, si può toccare tutto, ma non Ingroia. Che salta dalla sedia e disegna, furente, le trame sempre torbide, sempre vaghe, di una burocrazia che ha deciso di tagliare il finanziamento per la “sua” società. Perché costerebbe troppo. Mentre nel frattempo, i tagli si abbattono su tutti. Sulla stessa burocrazia, sui ciechi e sui sordi, sui teatri, sulle province senza strade e senza scuole, sui disabili senza un pullman che li porti tra i compagni, sui precari che continuano a non avere un futuro e spesso nemmeno un presente. Si può tagliare su tutto. Ma non sulla società di Ingroia. Perché parte subito la causa. Il ricorso. Compiuto ignorando quelle norme regionali che impongono agli amministratori il passaggio obbligato alla mediazione. Per evitare, come rischia di accadere, ad esempio, che i soldi della Regione (cioè dei cittadini) vengano usati per far causa alla Regione.

Ingroia, però, può. Anche perché qualcuno gli fa intendere che può. E allora, l’ex pm può anche strafregarsene delle norme sulla trasparenza e l’anticorruzione che obbligano quelli come lui (semplici amministratori di una società tenuta in piedi dai soldi dei siciliani) a pubblicare il proprio stipendio. Lui no. Lui può infischiarsene. E con lui i suoi consulenti. I siciliani si accontentino, se vogliono, delle sue parole. Dei milioni di milioni fatti risparmiare alla Sicilia grazie al suo virtuoso intervento. Accontentiamoci insomma. Del resto, dell’anticorruzione, Crocetta e Ingroia s’erano già dimenticati quando all’ex pm tocco’ l’onore di guidare la Provincia di Trapani, nonostante il divieto, per quelli come lui, cioè semplici amministratori di società regionali, di cumulare altri incarichi. Ma del resto, ogni pronuncia sembra comunque dare sempre ragione a Ingroia, anche quando gli dà torto. Come nel caso della riassunzione imposta dal giudice del lavoro, di un ex dipendente di Sicilia e-servizi “tagliato” nelle selezioni compiute da una commissione esterna nominata direttamente da Ingroia e per la quale la Procura della corte dei conti ha parlato di mancanza di alcun fondamento giuridico. Ma per Ingroia, quella sentenza gli ha dato ragione. “Così finalmente si farà chiarezza”. Perché lui non perde mai. Perché lui ha sempre ragione. Non perché sia un amministratore modello. Ma perché è convinto di essere il potente pm che fu.

 

Pubblicato il

19 Marzo 2016, 19:20

Condividi sui social