31 Marzo 2010, 11:17
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Le indagini dei carabinieri del Ros di Catania, che poi si sono intrecciate con dichiarazioni su politici e amministratori, avevano al centro della loro attività il boss Vincenzo Aiello della cosca Santapaola. In 5 mila pagine sono riportate soprattutto intercettazioni ambientali e telefoniche a mafiosi e a loro frequentatori. Nell’inchiesta si innestano anche le dichiarazioni di almeno due pentiti: Eugenio Sturiale e Maurizio Avola. Eugenio Sturiale è ritenuto dalla Procura un ex ‘colletto’ bianco del clan Ercolano da tempo passato, dopo essere transitato alla cosca Laudani, al gruppo storicamente rivale dei Cappello legati ai Cursoti. In passato era stato coinvolto nell’inchiesta sulla gestione di alcuni supermercati e successivamente era stato inquisito dalla Dia nell’ambito di indagini patrimoniali a prestanomi di Cosa nostra. E’ stato arrestato nell’ottobre 2009 dalla squadra mobile di Catania nell’ambito dell’operazione Revenge per fermare una sanguinosa faida che stava per esplodere a Catania. Le sue dichiarazioni sono state utilizzate per la prima volta nel processo al re dei supermercati in Sicilia, Sebastiano Scuto, e sulle sue accuse il Pg Gaetano Siscaro ha rivisto la richiesta di condanna per associazione mafiosa dell’imputato, portandola a 12 anni invece dei 9 anni e sei mesi sollecitati precedentemente. L’altro pentito è Maurizio Avola, che alla fine degli anni Ottanta era un giovane sicario del rione Picanello della ‘famiglia’ Santapaola, che si è auto accusato di oltre 50 omicidi, come quello del giornalista Giuseppe Fava, per il quale é stato condannato a 9 anni di reclusione. In passato Avola ha svelato progetti di attentati, poi non realizzati, per uccidere Antonio Di Pietro nell’autunno del 1992, “per fare un favore a persone importanti a quell’epoca”, e per eliminare Claudio Fava, figlio del giornalista Giuseppe, perché scomodo per la sua campagna antimafia. Avola ha anche parlato degli attentati alla Standa di Catania e di un presunto incontro ‘riparatore’ che, secondo lui, si sarebbe tenuto nel Messinese tra Marcello Dell’ Utri e i vertici della ‘famiglia’ catanese di Cosa nostra. Avola è detenuto perché mentre era tornato in libertà durante l’ammissione al sistema di protezione per i collaboratori di giustizia, nel 1996, assieme a altri tre pentiti, rapinò due banche a Roma, per un bottino complessivo di 140 milioni di lire.
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31 Marzo 2010, 11:17