20 Giugno 2013, 22:04
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PALERMO- Nessuna tangente, nessun regalo, nessun accordo illecito. Faustino Giacchetto respinge le accuse. Non ci sta a passare per l’uomo del malaffare. Il sistema illecito di cui sarebbe stato il dominus non esisterebbe. Nonostante la mole di carte e fatture che, secondo l’accusa, dimostrerebbero il contrario. Eppure c’è chi avrebbe fatto delle ammissioni sul meccanismo. A cominciare dalle fatture false. Si tratta dell’imprenditore Pietro Messina. Anche se il suo avvocato, Massimo Motisi, taglia corto: non ha niente da dire sul contenuto dell’interrogatorio. Le ammissioni di Messina potrebbero esse decisive ai fini dell’indagine. Sue sono decine di fatture per oltre un milione di euro emesse alle società di Giacchetto per operazioni fantasma. Messina, titolare del ristorante Burro di viale del Fante, è soprattutto legale rappresentante della Effemmerre Team srl, nonché titolare della ‘Strategie di Comunicazione di Messina Pietro’ che avrebbero avuto un ruolo decisivo nel sistema illecito. Un sistema che avrebbe consentito a Giacchetto di gestire a suo piacimento i 15 milioni di euro assegnati dall’Unione europea per i corsi di formazione del Ciapi.
Giacchetto, dunque, si è difeso su tutti i fronti nel corso dell’interrogatorio che si è svolto in carcere davanti al giudice per le indagini preliminari Luigi Petrucci e alla presenza dei pubblici ministeri Maurizio Agnello e Pierangelo Padova, e del difensore Giovanni Di Benedetto. Giacchetto ha spiegato quale sarebbe stato il suo ruolo nel mondo della comunicazione. Un mondo in cui avrebbe costruito “rapporti personali e di amicizia” con politici e burocrati. Senza ricevere nulla in cambio, ha sottolineato l’indagato. Mai corrotto nessuno o pagato tangenti. E i suoi affari a gonfie vele? Solo bravura, tanto ammettere davanti ai pm Maurizio Agnello e Piero Padova che quella presa in considerazione dagli investigatori è solo una piccolissima fetta dei sui affari. E le spese delle campagna elettorali di alcuni candidati pagati di tasca sua? Giacchetto ha ammesso di avere versato contributi elettorali, “tutti fatti con bonifici” e giustificati sempre in nome di quei rapporti personali con legano ai politici “a cui non avevo niente da chiedere”.
E i contatti, insistenti e anche via sms, con i funzionari regionali che hanno gestito le gare sui Grandi Eventi? Anche questi ha ammesso Giacchetto facendolo rientrare nell’alveo del “normale” interesse del libero professionista. Niente di patologico, ma solo contatti fisiologici. Come nulla di illecito si sarebbe verificato nelle stanze del Ciapi, di cui Giacchetto era un semplice collaboratore che, però, avrebbe di fatto gestito a suo piacimento, secondo l’accusa, le campagne di comunicazione e pubblicizzazione dei progetti dell’ente di formazione. I soldi, a detta di Giacchetto, sarebbero stati spesi sempre nell’interesse del Ciapi stesso e rispettando le regole. Altri non lui hanno gestito malamente l’ente di formazione, trasformandolo in uno “stipendificio”.Giacchetto ha più volte difeso la moglie, Concetta Argento, e la segretaria Stefania Scaduto. Che nulla c’entrerebbero in tutta questa storia seppure – secondo lui – lecita.
L’ultimo a rispondere al Gip è stato Gaspare Lo Nigro, ex direttore dell’Agenzia per l’impiego e oggi in pensione che si è presentato con il suo legale, l’avvocato Marcello Montalbano. Lo Nigro ha confermato la vecchia amicizia che lo lega a Giacchetto e ai suoi familiari. Amicizia che sarebbe alla base della scelta di Giacchetto di finanziare la pubblicazione di un volume su uno storico palazzo le Comune di Altofonte a firma dell’ex burocrate regionale. Il pubblicitario sborsò circa 70 mila euro. Non si tratterebbe, a detta di Lo Nigro, del prezzo pagato per la sua corruzione, visto che i suoi atti amministrativi sarebbero stati sempre regolari.
Si è difeso anche l’imprenditore Luciano Muratore, assistito dall’avvocato Marcello Carmina. “Ho sempre lavorato nel settore senza alcun favoritismo. Giacchetto era un cliente come tanti. Mi chiedeva un servizio e io gli rilasciavo regolare fattura”, avrebbe spiegato. Chi, invece, ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere è stato Domenico Di Carlo, accompagnato dall’avvocato Mario Bellavista.
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20 Giugno 2013, 22:04