13 Febbraio 2017, 18:39
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PALERMO – La minaccia subita dall’avvocato Maurilio Panci è grave. Il movente ancora da chiarire. Giovedì il legale ha ricevuto una busta nel suo studio. Dentro c’era un messaggio scritto con le lettere ritagliate dai fogli di giornali: “Continua a fare l’infame, ti faccio fare la fine del tuo collega Fragalà”. Il biglietto era accompagnato da un proiettile calibro 357 Magnum.
Il penalista ha presentato una denuncia, la Procura ha aperto un’inchiesta e il prefetto ha incaricato i poliziotti di vigilare sullo studio e l’abitazione di Panci. Il tutto in attesa di capire chi è l’autore dell’intimidazione e cosa lo abbia spinto ad agire. È lo stesso avvocato a mettere sul piatto due ipotesi: “Non so a cosa possa riferirsi il gesto, se ad una vicenda personale piuttosto che professionale? Non so, so solo che, paradossalmente, mi auguro sia una vicenda personale. La ragione? Nessun compromesso con quello in cui ho sempre creduto, la sacralità della toga che indosso ogni giorno nelle aule di giustizia, nessuno sconto, nessun passo indietro. Se le ragioni riguardassero una vicenda personale, allora, data la reazione avrò detto o fatto la cosa giusta alla persona sbagliata”.
Se si trattasse di un fatto personale l’intimidazione resterebbe grave, ma non investirebbe l’intera categoria degli avvocati che, intanto, si sono mobilitati. Il presidente della Camera penale, Vincenzo Zummo, ha convocato per domani mattina un’assemblea al Palazzo di giustizia di Palermo. Il cuore della questione è capire, compito che spetta ai poliziotti del commissariato San Lorenzo e ai pubblici ministeri Leonardo Agueci e Andrea Fusco, se la lettera di minacce vada inserita nel pesante clima che si è creato attorno all’avvocatura palermitana.
Il picco più tragico si è toccato nel 2010 quando Enzo Fragalà venne pestato a morte sotto il suo studio a colpi di bastone. Un delitto che era stato e continua ad essere inquadrato in un contesto mafioso, seppure una prima indagine sia stata archiviata. Ci sono altri brutti segnali. Nei mesi sorsi due avvocati sono stati avvicinati in aula e redarguiti con metodi bruschi dai loro clienti imputati per mafia. Sempre in aula alcuni appartenenti al clan di Porta Nuova hanno revocato platealmente il mandato dei difensori “colpevoli” di non avere ricusato il giudice. Si parla anche di offese ricevute da un altro avvocato durante un colloquio in carcere. Insomma, alcuni clienti non hanno gradito l’atteggiamento processuale degli avvocati e lo hanno manifestato in maniera fin troppo evidente.
Diverso sarebbe il caso di Panci. Nella sua recente carriera ci sono la costituzione di parte civile per conto dei familiari di un uomo ammazzato allo Zen (il figlio della vittima inguaiò i presunti assassini indagando in prima persona) e dei parenti di un detenuto maltrattato in carcere. La scelta di affidare le minacce a un messaggio cartaceo e il modo con cui è stato scritto sembrerebbero non rimandare, però, al modus operandi del contesto criminale dello Zen. Nessuna certezza, però. L’autore della minaccia sembrerebbe essere qualcuno che conosce bene i luoghi frequentati da Panci. Sapeva ad esempio di non correre il rischio di essere filmato mentre decideva di consegnare la lettera, personalmente oppure delegando il lavoro sporco a un suo emissario.
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13 Febbraio 2017, 18:39