14 Luglio 2021, 19:07
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Ho lavorato tre volte con Alfonso Giordano. La prima – così lo conobbi come magistrato – fu quella in cui ebbi affidata dalla Rai la regia del Maxiprocesso; la seconda – così lo conobbi come uomo – quando, ormai in pensione, nel 1993 si candidò al di fuori dei partiti quale sindaco di Palermo e mi chiamò come consigliere per una competizione contro il potere demagogico; la terza – così lo conobbi come amministratore – nel 2001, quando fu Commissario straordinario al Comune di Trapani e mi chiese di occuparmi di Arte e Cultura.
Diversamente da come si sarebbe portati a pensare, in Alfonso Giordano non vi erano differenze identitarie, il magistrato era uguale all’uomo e questo all’amministratore pubblico. Infatti: non era suggestivo giacché non agiva tentando di sedurre, non manifestava quelle slealtà che sono proprie di chi mira a dire senza avere detto, a convincere senza avere dimostrato, ad essere infallibile per predestinazione. Come tutti sappiamo era assente dai salotti televisivi e commemorativi e ciò ne ha sottolineato l’anomalia preziosa, soprattutto in quanto magistrato.
Dall’umorismo arguto e dalle intuizioni fulminee, Alfonso Giordano ebbe il coraggio, pur essendolo, di non atteggiarsi a fenomeno e anche per questa sua dote rimane come uno fra i pochi che sono stati protagonisti veramente benefici, che sono stati importanti nella storia della Sicilia e della civiltà, pur non avendolo chiesto né coltivato. Io non so se l’aula-bunker di Palermo sia già intitolata a qualcuno, ma sono certo che, se non lo fosse, ora avrebbe il suo naturale toponimo.
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14 Luglio 2021, 19:07