14 Febbraio 2010, 15:32
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Che non corresse buon sangue tra i due si è sempre saputo. Oggi, si è consumata l’ennesima puntata di un dissidio, fatto soprattutto di punzecchiature. Caselli ha glissato l’argomento, in un primo momento, aggirando le dichiarazioni di Gaetano Paci. Ma, invitato dalle domande del cronista, ha risposto: “E’ risaputo che io e Grasso non ci vogliamo molto bene. Quando io fui escluso con una norma ad hoc contro di me dalla corsa per la Procura nazionale antimafia, Pietro Grasso non disse nulla, finché la partita era aperta. Per poi rilasciare un’intervista, a giochi fatti e per spiegare che gli dispiaceva”.
La storia è nota. Nel 2005, l’attuale procuratore capo di Torino era in lizza per la poltrona di procuratore nazionale antimafia. Un emendamento alla legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario, la “Riforma Castelli”, tagliò le gambe a Caselli, introducendo il criterio del superamento del limite di età. Uno “sfregio” che pesa.
No, non si sono mai amati. Pur avendo – sia Grasso che Caselli – l’intima convinzione di essere i veri eredi di Giovanni Falcone e dei tempi d’oro del pool. Gian Carlo Caselli rivendica apertamente “il metodo Falcone”, la collegialità, quale regola ispiratrice delle sue scelte. Piero Grasso fu un grande amico del magistrato ucciso a Capaci e si riconosce nella sua prudenza.
Proprio Caselli ha scritto nel suo ultimo libro, parlando di un incontro romano: “Non ci spiegavamo la partecipazione all’incontro di Piero Grasso, che sarebbe stato il mio successore a Palermo. Forse un anticipo della ostile insofferenza che, anni dopo, caratterizzerà certe sue inaccettabili prese di posizione verso il mio lavoro e la procura che avevo diretto”. R.P.
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14 Febbraio 2010, 15:32