l dollaro frena la corsa,|in borsa si attendono conferme

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15 Dicembre 2008, 18:43

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MATERIE PRIME: il rimbalzo
Finalmente il focus si è rispostato sul rischio iperinflazione in seguito all’incredibile tasso di crescita della base monetaria americana, e il dollaro ha iniziato a svalutarsi trascinando – nonostante resti intatto il focus recessivo – anche le principali materie prime. Queste ultime del resto erano talmente ipervendute che un rimbalzo era assolutamente fisiologico.

Il petrolio , aiutato anche dalle voci di un taglio imminente della produzione Opec, ha recuperato il 10%, ma anche altre industriali come il rame sono salite (+4%) con l’indice generale a + 9% in linea con l’incremento di oro e argento. Il primo ha salvato la possibilità citata la scorsa Nota circa la quinta onda rialzista a partire da 740, e adesso dovrebbe spingersi almeno a 870, se non a 900 e oltre. In questa fase comunque il mio interesse si è spostato sull’argento, perchè un eventuale operazione sarebbe mirata e limitata a questo possibile rimbalzo: l’argento che amplifica notoriamente rispetto all’oro, ha un maggior potenziale e una conformazione grafica che mi piace di più, come illustrerò a chi mi segue per l’operatività, ed è possibile correre un rischio limitato all’ 1% a fronte del 3% di profitto.

Tornando al petrolio, le prospettive a medio termine restano nebulose. L’ OPEC è difficile che tagli la produzione in modo significativo, ed è dunque possibile che il prezzo scenda ancora nei prossimi mesi man mano che la recessione si intensificherà, anche se il dollaro si svaluterà: un ritorno a 30 dollari al barile è possibile. Ciò perchè il prezzo verrà a trovarsi nella tenaglia di una domanda calante ed un offerta invece sovrabbondante.Sul calo della domanda vi sono pochi dubbi, basta guardare ai dati asiatici, con l’export coreano e di Taiwan in drastica riduzione rispettivamente del 18 e del 23% rispetto a un anno prima, e soprattutto con la Cina che sta rallentando ben più di quanto si prevedesse. Quest’ultima si trova in una situazione che ricorda quella degli USA anni 30: un ampio avanzo commerciale,eccesso di capacità produttiva, esportazioni in calo; l’impatto al suo interno sarà particolarmente pesante data la situazione esistente. Già i flussi migratori segnalano ritorni verso le campagne, e si stima che l’anno prossimo saranno almeno 20 milioni coloro che lasceranno le città costiere avendo perso il lavoro nelle fabbriche; ma nelle campagne l’unica attività possibile, quella agricola, offre salari ad un terzo , e le tensioni che si possono innescare possono costringere il partito comunista ad usare la forza bruta, nel tentativo di restare al potere. Nel frattempo, poichè le importazioni cinesi scendono anche più velocemente delle esportazioni, l’avanzo commerciale paradossalmente aumenta, (a novembre 40 miliardi di dollari) , e i cinesi quindi continuano ad accumulare dollari che hanno sempre meno valore e non rendono ormai più niente in interessi, ma soprattutto che continuano a fare il danno sistemico già fatto in tutti questi passati anni, perchè la Cina impedisce dirigisticamente l’apprezzamento del cambio.

Se quindi la domanda di petrolio potrebbe sensibilmente ridursi nel prossimo futuro, l’offerta invece potrebbe restare sovrabbondante perchè i paesi produttori nel recente passato hanno moltiplicato le loro spese strutturali dando per scontato che il prezzo del petrolio sarebbe restato alto per sempre. Per cui adesso , che già si trovano in grandi difficoltà per la violenta riduzione del medesimo , fanno fatica a ridurre ulteriormente le loro entrate tagliando la produzione nel tentativo di sostenere i prezzi. E’ stato calcolato che la maggior parte dei produttori ha bisogno di un barile tra i 70 e i 90 dollari per mantenere in pareggio i propri bilanci. La Russia, ad esempio, almeno a 70 dollari, per cui tenderà a vendere il più possibile per compensare il calo del prezzo.Invece per sostenerlo, la produzione dovrebbe essere tagliata di circa 8 milioni di barili al giorno, cioè circa il 25% per i paesi OPec; ma è realistico pensare che l’Iran o il Venezuela lo facciano? Pertanto il prezzo può risentire nei prossimi trimestri di questa dinamica divergente tra domanda ed offerta, anche se nel lungo termine tornerà a salire , perchè resta vero che il petrolio è una risorsa in via di esaurimento.

Si conclude con : petrolio a 49,1(febbraio) gas naturale a 5,5(marzo) oro a 820(febbraio) argento a 10,2(marzo) platino a 822 (gennaio) palladio a 175(marzo) rame a 143(marzo).

CAMBI: corsa finita
Il dollaro ha finalmente mollato: l’indice generale ha perso ben il 4% questa settimana ed ha perso contro tutte le monete, incluso il rublo russo che a sua volta ha perso più del 3% con euro.Dal punto di vista fondamentale, occorre capire se la caduta del dollaro è derivata da un miglioramento dell’avversione al rischio, oppure se a prescindere da quest’ultima è lo status di moneta “sicura” che inizia a essere finalmente messo in dubbio.Questa settimana pare essersi rotto il legame paradossale che sosteneva il dollaro nelle fasi di crisi, e che ormai durava da vari mesi. Infatti la caduta è avvenuta con la borsa in difficoltà, e mentre lo yen (l’altra valuta premiata nelle fasi di aumento del rischio) continuava a salire, impennandosi quando il Senato americano ha bocciato il salvataggio dell’industria automobilistica. Probabilmente è finita la fase di intensa chiusura delle posizioni pre-crisi in vendita di dollari, amplificate dalle leve finanziarie, ormai drasticamente ridotte. Inoltre se, come probabile, la domanda per i titoli del tesoro a brevissimo termine resta a livelli anomali con i rendimenti pari a zero a causa degli acquisti della Fed che così immette dollari nel sistema, vuol dire che finisce anche questo altro legame. In parole semplici, si torna alla logica economica, per cui più dollari si stampano, meno valore hanno i dollari in circolazione. Nel breve termine comunque può esserci l’influenza della riduzione delle posizioni tipica della fase finale dell’anno. Le riserve valutarie internazionali che rispecchiano la sommatoria degli avanzi commerciali sono crollate di 200 miliardi nelle ultime 8 settimane, quando durante gli ultimi 12 mesi erano salite di 600 miliardi arrivando a quota 6,7 trilioni.

Si vedrà la prossima settimana sulla reazione alla decisione della FED(ci si aspetta un calo dei tassi di 75 cts. allo 0,25%) e su quella alla decisione del Tesoro di procedere al salvataggio dell’auto. Se questi eventi innescano un forte movimento del dollaro, è probabile che avremo un periodo festivo molto volatile.

L’euro ha quindi messo a segno la sua miglior performance settimanale contro dollaro in 8 anni, nonostante i suoi dati macro negativi, e nonostante le difficoltà delle borse.Tecnicamente la situazione è adesso chiarita, nel senso della seconda ipotesi qui avanzata sette giorni fa; il superamento di quota 1,33 fino ad arrivare a concludere poco sotto quota 1,34 è un segnale estremamente positivo, e il rialzo potrebbe proseguire senza soste almeno fino a 1,37; su un eventuale ritorno in area 1,30 magari in occasione della decisione della Fed, si può comprare con obiettivo 1,40 e stop a 1,28 con un buon profilo rischio- rendimento (1,5% di massima perdita contro 7,5% di massimo utile); questo in linea teorica, naturalmente in sede di club asset si valuterà fino all’ultimo l’opportunità di effettuare questo possibile trade( in teoria, tra teoria e pratica non c’è differenza, in pratica c’è; come ben sanno coloro che si avventurano sui mercati).

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OBBLIGAZIONI: il default ecuadoregno
Negli USA i futures sul tasso a tre mesi scadenza dicembre 2009 quotano 1,85% (-15 cts. rispetto a 7 giorni fa), il libor a tre mesi è sceso al 1,92%(-26 cts.) e ad un anno al 2,42%(-27 cts.); i bot a 3 mesi allo 0,01%(-0 cts.). I rendimenti dei bonds a 2 anni a 0,68%(-24 cts.); a 5 anni al 1,52%(-17 cts.); il decennale al 2,68% (-2 cts); a 30 anni al 3,15%(+2 cts.). Si impenna il differenziale tra 2 e 10 anni a 200 (+22 cts.). Discesa generalizzata dei tassi, soprattutto sui titoli di stato a breve scadenza, con la curva che si irripidisce nuovamente. Il Tesoro il 9 dicembre ha venduto 30 miliardi di bot a 4 settimane, che sono andati talmente a ruba da essere aggiudicati a tassi negativi e il giorno dopo anche i bot a 3 mesi sono diventati negativi per la prima volta da quando gli USA hanno cominciato ad emetterli nel 1929. Ciò avviene perchè molti hedge funds devono per forza tenere il margine di garanzia in forma immediatamente liquidabile,e ciò li costringe ovviamente a puntare sui titoli brevisissimi dello Stato anche a costo di dover pagare un prezzo(loro non possono detenere contanti). Scendono anche i tassi sui mutui a tasso fisso trentennali (-18 cts. al 5,47%) e quindicennali(-18 cts. al 5,20)e quelli a tasso variabile ad un anno (-8 cts. al 5,09%). Fermo il rendimento del decennale giapponese (1,38%), scendono i rendimenti sugli obbligazionari dei paesi emergenti, con i bond brasiliani al 7,25% sul decennale (i messicani scendono al 6,58%.). MA la settimana si conclude con l’annuncio dell’Ecuador che la nazione è in default e non rimborserà i suoi debiti. Si vedrà la prossima settimana che conseguenze ci saranno sui debiti degli emergenti.

In Europa i tassi euribor scendono anche loro: ad un mese al 3,02% (-24 cts.) a tre mesi al 3,34%(-27 cts.) ad un anno al 3,52%(-23 cts.). I rendimenti sui bund tedeschi salgono invece sui 2 anni al 2,21%(+16 cts.) e di 27 cts. sul decennale (3,30%): totalmente l’opposto dunque della dinamica americana, anche se si amplia il differenziale tra 2 e 10 anni (+109 cts.); il differenziale con i bonds USA si impenna a +62 cts. per il bund sul decennale, e sulla scadenza a due anni (+153 cts.) sempre a favore del bund, in perfetta coerenza con il forte rialzo del cambio eurodollaro.

BORSE: aspettando la conferma
“La conferma del rialzo si avrà al superamento di 896 e poi della resistenza iniziale a 916” scrivevo sette giorni fa. Ebbene questa settimana è iniziata all’insegna del rialzo che è stato in grado di superare 896 sullo sp500 ma poi si è arrestato proprio sulla resistenza indicata, ed ha iniziato a consolidare in un range ristretto; quindi è arrivata la caduta che si è spinta fino area 830 sui futures, ed infine venerdì pomeriggio nuovo recupero finale con chiusura a 880, il che riapre i giochi in senso rialzista. Occorre però la solita conferma del sorpasso di area 916. Con le festività in arrivo e soprattutto con la riunione Fed di martedì potrebbe aversi la spinta decisiva per farcela, ed andare verso area mille in quella che potrebbe quindi essere la terza onda di questo rimbalzo (741-896, 896-818, 818-?(973/1000)). L’andamento degli altri mercati internazionali, e la sovraperformance del nasdaq continuano a spingere in questa direzione. In alternativa, se si torna sotto 818 diviene molto probabile che il tutto abortisca e si vada a fare nuovi minimi, o quanto meno a ritestare 741.

Si conclude con Dow a 8629 -0% ( -35% da inizio anno) SP500 a 879 +0%(-40%) Nasdaq100 a 1206 +2,2%(-42%)Russell +1,6%(-39%) Trasporti -1%( -25%) utilities +0,4% (-26%) semiconduttori +5,9% ( -50%) Broker -4,7%( -67%) Banche -12%( -53%).

Il rapporto tra put e call sale a 1,04 e l’indice della volatilità VIX scende a 54.

Il Nikkey giapponese a 8235 +4%(-46% da inizio anno), il Dax a 4663 +6%(-42%) il cac francese a 3213, il footsie inglese a 4280 spmib a 19174 e mibtel a 14974 (-47% da inizio anno, lancette dell’orologio borsistico nostrano – in termini nominali- indietro di 11 anni: chi lo avesse comprato nel 1997 e se lo fosse tenuto sperando nel “lungo termine”, oggi si ritrova con lo stesso nominale e con un valore reale che è circa un quarto). Tra gli emergenti: Brasile +10%(-39%) Russia +10% (-72%) India +5%(-52%) Cina -3,5%(-63%).

PREVISIONI: Fed e Boj
La Fed abbasserà i tassi martedì sera almeno di un altro mezzo punto, deludendo lievemente il mercato che considera al 72% di probabilità un taglio di tre quarti di punto con il tasso ufficiale allo 0,25% che è già il tasso effettivo: credo la Fed vorrà ancora lasciarsi un pizzico di manovra simbolica in più. Importante sarà il comunicato di accompagnamento, e il fatto che questa riunione inizialmente programmata della durata di un giorno sia stata poi trasformata in una da due giorni, la dice lunga sulle ambasce in cui si trovano i manipolatori della moneta americana. Occorrerà vedere se iniziano a citare ufficialmente l’adozione della politica di stampa di moneta, pudicamente definita in gergo tecnico “facilitazione quantitativa”. L’esito della Fed avrà certamente impatti notevoli sui cambi e sulle borse. Ma prima ancora i mercati si troveranno ad interagire con la proposta della Casa Bianca di un prestito ponte di salvataggio per General Motors e Chrysler. Anche se è una soluzione che non risolve per niente i problemi strutturali di questa industria (che non è la sola a soffrire, nè gli USA sono il solo paese con questi problemi) è probabile che l’annuncio del salvataggio sia salutato festosamente. Inoltre occorrerà tenere d’occhio le mosse della Banca del Giappone che ha iniziato a minacciare interventi diretti sui cambi, allorchè lo yen è sceso sotto quota 90 con dollaro, ai minimi da 13 anni. Il governo nipponico dal canto suo ha anche lui annunciato uno “stimolo” da circa 40 miliardi di nuove spese, con 3 miliardi di riduzioni fiscali e 12 miliardi di fondi alle banche. E la prossima settimana si aspettano i dati del Tankan , l’indice della fiducia delle imprese , che potrebbe arrivare ai minimi dal 1975; poichè gli esportatori sono da sempre molto influenti sui governanti nipponici, adesso che lo yen viene da rialzi del 30-40% nei confronti di molte monete , tra cui l’euro, sta salendo l’attesa di un intervento di vendita di yen da parte della Boj come parte integrante della manovra giapponese. Peccato che questo significhi per loro imbottirsi ancora di altri dollari, dal rendimento nullo e dal dubbio esito.

Dagli USA vi sono anche molti dati: lunedì la produzione industriale, martedì i prezzi al consumo e l’edilizia,mercoledì la decisione Opec, giovedì vari indicatori, e venerdì saranno le ultime tre streghe dell’anno (con la scadenza contemporanea dei futures dicembre e delle opzioni). Anche il calendario europeo può contribuire alla volatilità in particolare di EUR/USD: l’indice dei prezzi al consumo potrebbe potenzialmente far cambiare le previsioni sulle prossime mosse della BCE; ci si aspetta una discesa al 2,1% a novembre rispetto a 12 mesi prima, ma occorre vedere se la velocità del recente calo consente altri tagli dei tassi così come generalmente atteso, nonostante recenti commenti tedeschi abbiano già mostrato resistenze ad una riduzione del tasso ufficiale sotto al 2%.

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15 Dicembre 2008, 18:43

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