20 Dicembre 2017, 18:35
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“Nazioni e Imperi, coronati di principi e di potentati, sorgevano maestosamente da ogni parte, avvolti nei tesori accumulati nei lunghi anni di pace. Tutti si inserivano e si saldavano, senza pericoli apparenti, in un immenso architrave. I due potenti sistemi europei stavano l’uno di fronte all’altro, scintillanti e rimbombanti nelle loro panoplie, ma con sguardo tranquillo…Il vecchio mondo, nell’ora del suo tramonto era bello a vedersi…”.
“Era bello a vedersi” annota Winston Churchill nella “crisi mondiale” del 1921 allorché la Bella Epoque giungeva alla fine della sua tanto breve quanto sfavillante vita. Quarant’anni circa di inebriante illusione, di stravolgimenti e bellezza. Alla chimera di una consolidata pace si univa una ostentata spensieratezza. I caffè, i cabaret e i cinema riempivano la vita, Moulin Rouge e Lido divennero costume introducendo la dissolutezza nella quotidianità.
L’idea costante che le innovazioni tecnologiche potessero risolvere ogni male dell’umanità era diventata per alcuni certezza. Del resto ci sono fasce di storici che amano far coincidere la parabola della bella èpoque con due date ben precise. Il 4 ottobre 1883 l’Orient express, sogno d’eleganza e stile che ancora oggi incanta, parte da Parigi diretto a Costantinopoli. Il 14 aprile 1912 il Titanic, altro simbolo della galoppante corsa all’innovazione tecnologica, affonda nelle gelide acque dell’Atlantico trascinando con sé quella illusione che di lì a poco avrebbe decretato la fine di un’epoca dorata.
La tecnologia che avanza quindi e la tecnologia che affonda.
Ma in questa epoca magnifica e struggente all’un tempo un fil rouge legò sempre le molteplici sfaccettature del tempo: l’eleganza. Moda e costume furono alla base dei cambiamenti più rivoluzionari.
Ed è propria la moda di quel tempo, soave e ribelle, la protagonista della mostra allestita al castello di Donnafugata dal titolo “Bella Èpoque, mito e moda della gioia di vivere” e curata dall’architetto Nuccio Iacono, storico del costume ed esperto in museologia.
La mostra, la cui inaugurazione è fissata per domani 22 dicembre, attraverso i suoi 25 abiti in esposizione, racconterà l’influenza nella cultura, nel vissuto e nei cambiamenti culturali..
“Con questa esposizione di abiti e accessori legati alla Belle Époque si continua e si vuole sottolineare un concetto museologico che ho da sempre abbracciato”, spiega l’architetto Jacono. “Una idea che vuole il visitatore avvolto dall’aura incantevole che certi pezzi artistici o di puro artigianato emanano. Per alcuni istanti deve rivivere il tempo e la storia. Deve sentirsi sfiorato da pensieri e curiosità che ogni oggetto esposto è chiamato a sollecitare. Preso per mano dalla suggestione dovrà percorrere lo spazio di un contenitore, il castello di Donnafugata appunto, che deve offrire nuovi orizzonti di conoscenza”.
Ed è appunto questo immergersi in un luogo altro, questo immedesimarsi all’interno di ciò che viene raccontato, la cifra di questa mostra.
Gli abiti sono protagonisti ma anche espedienti. Ci parleranno di un passato che non passa mai, di un sogno apparentemente tutto nordico che toccò profondamente l’assolata terra di Sicilia.
Basti pensare che in mostra sarà esposto un abito di gran soires appartenuto a Franca Florio, icona di eleganza e innovazione tutta siciliana. D’Annunzio la definì “Stella d’Italia” e lei, consapevole del fascino e del carisma che emanava, riuscì a far convergere il mondo del tempo, annebbiato dai fasti e dalla bellezza, intorno alla sua irresistibile grazia.
È questa l’epoca dello sbalordimento, delle prime pubblicità che evocano l’illusione assoluta, delle prime automobili che daranno la spinta al nascente futurismo, delle prime riviste dedicate alle frivolezze tutte femminee e di quel velato e talvolta impercettibile senso di decadimento. Una premonizione forse che tutta quella filiera di poeti maledetti seppero raccontare più di chiunque altro. Si pensi a Charles Baudelaire: “Mes bras sont rompus pour avoir étreint des nuées”.
La frivola e disincantata euforia era legata al filo sottilissimo dell’imminente fine.
Leggero come un pizzo e come una seta, inconsistente come un velo, soave come un ventaglio di piume, come una collana di perle a più fili che ricade su un morbido décolleté.
Niente più di un abito può raccontare, dunque, questa epoca di transizione.
E nessuno più dell’architetto Iacono, sognatore circondato da una squadra di sognatori, può riuscire a far rivivere in mostra gli anni fatati e perduti della bella époque
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20 Dicembre 2017, 18:35