27 Ottobre 2019, 05:50
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PALERMO- Lei si nascondeva dietro l’armadio, come Alice che non vuole uscire dalla tana del Bianconiglio. Quando stai male, anche tra i banchi di scuola il sole può splendere troppo forte e devi scomparire. Fu un’altra anima bambina che cercava il suo domani, una ragazzina della Costa D’Avorio arrivata su un barcone, a salvarla, a parlarle, a convincerla a venire fuori. E fu il suo professore a custodirla, affinché non rimanesse accecata dalla luce, ma imparasse ad accoglierla.
Se vai allo Zen, tra i casermoni sgarrupati e le discariche sotto il cielo, incontri storie così. Ti vengono addosso senza che nemmeno tu debba cercarle.
Se vai allo Zen, per sorseggiare un po’ di speranza tra le pozioni amare del degrado e dello spaccio, devi cominciare dalla scuola, per riscattare le ultime istantanee. Altrimenti vedrai, esclusivamente, la droga, le ferite inferte dai pusher e suturate dal grande lavoro dei carabinieri, i minorenni coinvolti e, in tanto abisso, le mamme che hanno il coraggio di dire grazie per le prove tecniche di legalità.
A scuola, pattuglie di insegnanti valorosi combattono come i vietnamiti nella giungla per costruire cittadini consapevoli. Non gli importa che la guerra sia vinta o perduta: si lotta in silenzio e basta. Sulla strada per l’istituto comprensivo ‘Sciascia’, un passaggio a mamma e figlio che sono diretti proprio lì. Come si sta allo Zen? La signora non risponde. Il bambino, invece, sì: “Benissimo”. E sorride.
Eccola la scuola, il fortino assediato in ristrutturazione. Il comandante in capo è la preside Stefania Cocuzza, qui dal due settembre, che chiacchiera nella sua stanza, interrotta da centomila urgenze. La bimba che ha un malore. Il genitore che desidera interrogarla. Gli altri bambini che sono vivacissimi, seppure pochi, visto che è il giorno dello sciopero generale.
“Potevo essere nominata altrove – dice – ma ho scelto di venire qui, perché conosco il territorio e credo di potere rendermi utile”. E sciorina i progetti messi in campo con la rete di associazioni. “Noi – racconta la dirigente scolastica – facciamo quello che possiamo. Spostiamo qualcosa, non tutto. Se ci sono ragazzi problematici, e ce ne sono, attiviamo dei meccanismi di sicurezza, con il consiglio, coinvolgendo i genitori, le istituzioni. Abbiamo studenti disabili, almeno uno per classe, ma, più spesso, due o tre. Abbiamo pure ragazzini difficili, certo, è unitile negarlo”.
E’ una donna vigorosa la preside Cocuzza che pratica l’ottimismo della volontà. Tra questi banchi ci sono piccoli uomini – una parte – che tra qualche anno conosceranno, verosimilmente, la galera, perché verranno inseriti nel circuito criminale. Quello che altrove è un’ipotesi quaggiù è quasi una certezza. Lo Zen è anche una fabbrica di sconfitte, che ne pensa professoressa? Stefania Cocuzza stringe le spalle con un movimento gentile: “Questa è la scuola e può fare soltanto la scuola”. Come dire: sono gli altri che mancano.
E la scuola fa appunto la scuola. Con i laboratori e i progetti per figli e genitori, grazie alla collaborazione di un associazionismo generoso. C’è di tutto. Dalla riqualificazione urbana, ai precetti di convivenza civile, ai corsi di sartoria, alla falegnameria, ai lavoretti che aspirano a una collocazione sul mercato. L’istituto, nel frattempo, cade a pezzi, ma le maestranze non si risparmiano e presto potrebbero essere usufruibili le aule interdette, la palestra inagibile, il teatro in disuso. Sulle pareti, l’allegria di murales e striscioni cerca di compensare i guai. Un foglio immerso nelle lacrime ricorda il professore Graziano Ippolito. Lo amavano e piangono dal giorno della sua scomparsa.
Qui i prof sono splendidi, il personale è cortese e non si risparmia. “Dobbiamo offrire l’autorevolezza, non l’autorità – dice il professore Giuseppe Amaradio, collaboratore della preside – il primo anno è duro, poi ti abitui, poi vorresti non andare più via, se riesci a creare una vera comunicazione con i ragazzi”.
E’ lui che narra la vicenda di quella ragazzina, una bimba spaurita che si nascondeva dietro l’armadio: “E’ stato complicato creare il dialogo. Lei si è sbloccata grazie soprattutto a una compagna di classe, bravissima, arrivata con il barcone dalla Costa D’Avorio. Siamo riusciti a tirarla fuori dal suo guscio, a comunicare a poco a poco. E’ una delle cose di cui andiamo fieri. Ecco, guardi le foto…”. E dal telefonino del prof spuntano i lineamenti di un viso dolcissimo e trasognato. “Stavamo preparando delle scene per la rappresentazione di Alice nel Paese delle meraviglie. E’ questa, accanto alla carta di cuori”.
Sabrina Troja, la vicepreside chiosa: “Abbiamo alunni con un vissuto emozionale molto intenso, bello e inespresso. Vanno accompagnati nella crescita con amore e dedizione”. Sono così i prof, a forza di stare con i giovani restano per sempre giovani e fiduciosi. Per fortuna.
Ma non solo la speranza muove i suoi fili a Zenlandia, anzi…. Accanto alla scuola, una discarica mostra con orgoglio il suo pattume. Un topo osserva con curiosità il panorama, dalle dimensioni sembra che abbia mangiato un gatto non minuscolo. I regni delle droghe e la criminalità sono ferite profonde, ma tanto male provocano pure l’incuria e l’abbandono, l’assenza di uno straccio di punto di riferimento.
“I politici? E dove sono? Solo attempo ri vuoti si presentano”, declama un giocatore di carte, insolitamente giovanile, nel circolo per la terza età che campeggia in piazza. Un altro incalza: “Lei è giornalista? Vada a farsi una passeggiata di sera dalle parti dello Zen 2. Vada a caccia. Troverà surci ca parunu cunigghia”. “Il Comune? E che cos’è il Comune? Esiste?”, riecheggia un terzo.
Davanti alla ‘camera del lavoro’ gli anziani col cappellino sono arrabbiatissimi: “I marciapiedi distrutti, la munnizza, tutto senza controllo… Possiamo scrivere l’enciclopedia…. A casa mia i rami degli alberi mi stanno entrando in camera da letto. Ho segnalato il problema cento volte e non è successo niente”. E ancora: “Non c’è assistenza, non ci sono servizi, non ci sono spazi, non c’è nulla. Egregio amico, sintissi a mia, lo Zen ogni anno va a peggiorare”.
Va peggio? E’ questa la sentenza in calce al viaggio di una mattina? Chissà. Tutto il brutto e tutto il bello offrono un ritratto schizofrenico. Ma l’immagine che conservi è il sorriso di una ragazzina che ha abbandonato l’armadio. Niente vale quanto la luce che scaturisce da un’anima un tempo prigioniera finalmente liberata dalla tana del Bianconiglio.
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27 Ottobre 2019, 05:50