15 Ottobre 2018, 16:15
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MESSINA – Il pm Giancarlo Longo ha parlato per quasi quattro ore senza sosta, ad eccezione di una pausa di diciassette minuti. Assistito dal suo avvocato di fiducia, ha raccontato la sua verità davanti al pool di magistrati di Messina che conducono l’inchiesta. Il procuratore Capo Maurizio De Lucia, in compagnia dei sostituti procuratori Antonio Carchietti, Antonella Fradà e Federica Rende, non si sono persi neppure una sillaba della ricostruzione fatta dal magistrato coinvolto nello scandalo del “Sistema Siracusa”. Il mensile S in edicola ha pubblicato i verbali integrali di Longo.
È il 31 luglio scorso, quando l’ex pm originario della Campania ma in servizio a Siracusa, rinviato a giudizio per corruzione, si è presentato con il suo legale al Comando della Guardia di Finanza di Messina. Ha chiesto di essere ascoltato, per raccontare la sua versione dei fatti. Prima di lui, hanno già vuotato il sacco gli avvocati Piero Amara, detto ‘Peter Pan’, e il collega Giuseppe Calafiore, noto con l’appellativo di ‘Escobar’.
Appena undici pagine di verbale, con diversi passaggi coperti da omissis, per evitare possibili fughe di notizie e in vista anche di ulteriori accertamenti d’indagine.
I soldi e il boss delle Cerimonie. La domanda che forse molti si sono posti, a partire dagli inquirenti fino ai più semplici interessati alla vicenda, è perché un magistrato della Repubblica sarebbe arrivato a vendere e mercificare le proprie funzioni, svalutando il suo ruolo e quello della giustizia. “Mi ha rovinato l’acquisto della casa – racconta Longo – ho pagato 350 mila euro più ulteriori 70 mila euro per finirla, poi ho pensato di rivenderla ma la casa aveva perso valore. Non ho pagato nemmeno le rate del mutuo contratto con il Credito Siciliano”.
L’ex togato mostra agli inquirenti i preventivi per i lavori svolti a casa, spiegando come ha impiegato le mazzette intascate: “I soldi pervenuti da Calafiore e Amara li ho usati per i lavori fatti a casa mia e pagati in contanti”.
Il racconto diventa più preciso qualche istante dopo. “Ho avuto da Calafiore circa 10 mila euro nel 2013, 2014 e 2015 a titolo di prestito, per un totale di 30 mila euro, perché eravamo amici – aggiunge Longo -, Calafiore mi ha dato 5 mila euro a Roma, come porzione dei 10 mila datimi nel 2015. Li diede a lui tale ‘Boss delle cerimonie’, poi deceduto. Il boss si chiama Antonio Polese e i soldi li diede a Calafiore in via delle Coppelle, nel periodo aprile-maggio 2015”.
Microspie e perquisizioni. A Longo viene chiesto di ricostruire come ha scoperto della videocamera nascosta all’interno del suo ufficio, al quinto piano del Tribunale di Siracusa. “Della microspia ho avuto notizia dal collega Musco (Maurizio, ndr.) circa cinque-dieci minuti prima rispetto al rinvenimento. Eravamo nel corridoio – aggiunge Longo – mi si avvicinò dicendomi: ‘Confermato, microspie nell’ufficio’. Abbiamo preso un caffè, subito dopo ho iniziato le ricerche”.
Gli inquirenti peloritani mostrano all’interrogato una sequenza fotografica, dove lo si vede con in mano il cellulare mentre legge un sms, prima di iniziare la ricerca della cimice. Gli chiedono se sia stato il messaggio ad avvisarlo. “Quell’sms non ricordo chi me l’abbia mandato, forse mia moglie, non rammento, ma non era pertinente alla notizia”, precisa Longo.
“Ho staccato la telecamera piccola per non farmi riprendere, poi ho chiamato Musco e Sergio Malfa, e il Malfa ha provveduto a staccare il resto”. Malfa è un ex maresciallo dell’arma dei carabinieri, che oggi opera presso il Tribunale di Siracusa come responsabile per la ditta GR Sistemi di Milano, accreditata alla Procura aretusea per tutte le attività di intercettazione.
In che modo il pm Musco sia riuscito a sapere quelle notizie segrete o chi fosse la sua fonte, non lo sa spiegare nemmeno Longo. “A Musco non so chi abbia riferito della presenza delle microspie, il giorno della perquisizione in ufficio ero a casa ed ho buttato il telefono nella spazzatura, ero nel panico. Un paio di giorni dopo Musco mi dice di andare a casa sua e mi consegna un telefono intestato a tale ‘Francesco’, non ricordo il cognome. Era munito di una scheda Wind e di un’applicazione wickr. Così tramite questa applicazione, ho iniziato a comunicare con Musco e con Calafiore”.
Dopo il ritrovamento e la disattivazione delle microspie nella sua stanza d’ufficio, l’ex pm Longo è riuscito anche a nascondere il suo smartphone, evitando che la Guardia di Finanza riuscisse a sequestrarlo. “Ho buttato il cellulare nella spazzatura, avevo conversazioni con Musco, Calafiore, cose personali, foto di colleghe, cose mie. Ero nel panico, ho fatto una stupidaggine. Il cellulare che mi ha dato Musco poi l’ho buttato dentro la spazzatura di casa a Ischia, il 6 febbraio”.
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15 Ottobre 2018, 16:15