La chiamiamo Palermo | Ma in realtà siamo noi

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30 Maggio 2010, 02:55

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Devo dire la verità. Tutte quelle volte che ascolto di questo duplice sentimento contrastante verso Palermo, amore e odio, che molti sentono in maniera viscerale, non riesco a trovare in me un solo momento in cui ho provato questi due stati d’animo. Sarà perché prevale l’indifferenza? No, non credo sia questo. Il fatto è che questi sentimenti di amore e di odio verso Palermo li ho sempre percepiti come degli eccessi umorali e nient’altro. Un giorno si ama e uno si odia. Chi ama Palermo, spesso, prova quella passione devastante che non fa ragionare. E sono, questi, gli amori che durano poco. Rispondono più alla pancia che al cuore e alla testa. Ed anche l’odio ha le stesse caratteristiche. Perché quelli che odiano Palermo sono quelli che l’hanno amata e coccolata il giorno prima. Che, magari, hanno trascorso l’ultima notte con lei. Respirando durante una passeggiata con gli amici la brezza primaverile unica che questa città dona alle porte dell’estate. Si può morire di troppo amore o di troppo odio verso il luogo che ci ha dato i natali. E anche se non si muore, non si vive certo bene. Anche perché spesso, per fare un esempio, quando si parla male di Palermo, lo si fa dopo essere stati fuori. Misurando altri gradienti di civiltà e di funzionamento di tutto ciò che è pubblico e privato. “Caro mio, lì non è come da noi”. Questa la frase d’uso. Dimenticandosi che sino al giorno prima di partire e dal giorno dopo il ritorno, nella vita privata e pubblica, non si fa altro che tradire l’amore teorico e alimentare l’odio pratico verso la città. Allora penso che quando si guarda a questa terra, può essere Palermo o la Sicilia intera, bisogna imparare a guardarsi da coloro che il lunedì bruciano d’amore e il martedì divampano nell’odio, a giugno sono pieni di tenerezza e a luglio sono devastati dalla spietatezza. Questi non hanno la lucidità per aiutarsi a divenire cittadini adulti e aiutare la città a essere migliore giorno per giorno. Perché saranno orientati a difenderla quando gli altri ne parleranno male, anche a ragione. E si troveranno a criticarla pure se qualcuno ne metterà in rilievo degli aspetti positivi, che certo non mancano. Questa città ha bisogno di essere guardata, almeno da chi resta, perché per chi va via andrebbe fatto un discorso differente, e non c’è lo spazio, con serenità, pacatezza, lucidità, competenza. Ricordandosi che è come è, nelle sue luci e nelle sue ombre, proprio perché è così che l’abbiamo generata e la continuiamo a pascere. Se le abbiamo donato pietanze preparate con cura, raccoglieremo cose buone, se l’abbiamo avvelenata con il fiele del disinteresse e dell’incuria, ecco che vedremo nascere frutti immangiabili. Ma non sarà Palermo che ce li darà, ma noi stessi raccoglieremo quanto seminato. Da noi o da chi ci ha preceduto. Dobbiamo uscire fuori, una volte per tutte, dalla dicotomia insanabile che ci sballotta tra irredimibilità e paradiso terrestre. Non siamo né l’una né l’altro. Ma sapere cosa non si è, mi rendo conto, non può bastare. Anche perché il peso del passato è forte come un macigno. Proprio ieri un sensibile rappresentante di partito, incontrato casualmente davanti al Teatro Massimo, pensato e voluto da chi ha amato certamente prime se stesso e poi, ma solo come conseguenza, la città, mi confessava che non riuscirà mai a perdonare chi ha stravolto intere zone del territorio cittadino. E parlava di una impossibile indulgenza laica, civile, non religiosa. Capisco questo stato d’animo, in passato è stato un pò anche il mio. Oggi, tuttavia, la metterei diversamente. Più che chiederci se e quanto odiamo o amiamo Palermo o quanto detestiamo certe sinistre figure che l’hanno sfigurata, dovremmo sperimentare un punto di domanda diverso. Che consiste nel capire come possiamo farci perdonare da questa città. Dalle sue vie deturpate, dal suo respiro storico millenario affannoso, dai suoi quartieri periferici trasformati in non luoghi. Dobbiamo avere il coraggio di darci delle risposte serie, credibili, oneste. E poi cominciare ad operare. Affinché le future generazioni, più che odiare o amare Palermo, non odino noi. Per ciò che per Lei potevamo fare e non abbiamo fatto.

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30 Maggio 2010, 02:55

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