La cognata di Rita Atria: | “Abbandonata dallo Stato”

di

05 Ottobre 2009, 18:12

2 min di lettura

La sera era speciale a casa memoria, a casa di Peppino Impastato, a Cinisi. C’è sempre qualcosa di unico da Peppino e Felicia. Senti come la presenza di un fantasma dal lenzuolo irrisolto. E la giustizia degli uomini non ce l’ha fatta ad alleviare il peso delle sue catene. La casa di Peppino è un monumento involontario al coraggio che rende, invariabilmente, liberi e morti, in Sicilia. Al coraggio che ti semina nel cuore di pochi, mentre per gli altri sei una parola insignificante a margine di un foglio in una storia piena di polvere.

Si aspettava una persona importante. L’atmosfera era carica di attesa. Eccola. Piera Aiello, cognata di Rita Atria, la testimone morta suicida per la disperazione di via D’Amelio. Era stata lei, Piera, a tracciare la strada della legalità in un contesto di mafia e criminalità. Era stata lei a opporsi ai riti di sangue di Cosa nostra a perseguire con la chiarezza delle sue ricostruzioni gli assassini del marito. Piera parlò, a Cinisi. E raccontò i disagi “normali” di un testimone di giustizia: i documenti e i soldi che mancano, lo Stato che non c’è, il dolore, la paura. Ora – come scrive l’ANSA – Piera Aiello ha gettato la spugna, è tornata in Sicilia, a casa sua, a Partanna di Trapani. Ha scritto un documento definitivo, perché nulla si perda, “dopo avere appreso di essere una ex testimone”. Le frasi sono secche: “Quando era in vita Borsellino mancanze e difficoltà venivano sempre risolte, ma pochi giorni dopo l’omicidio del giudice si verificò una vicenda sconcertante: a me e mia cognata vennero a trovarci due funzionari che ci dissero: ‘dalla morte del giudice, molti collaboratori si stanno tirando indietro. Voi cosa volete fare? Capii che non avrei più avuto il conforto dello Stato”.

Articoli Correlati

La conclusione è amara: “Quello Stato che mi era stato proposto come la mia famiglia in realtà si è trasformato nella mia peggiore prigione, con relativi aguzzini. Adesso dico basta (nel frattempo, la copertura è pure saltata, ndr). Ritorno in Sicilia visto che sono una ex testimone. Ritorno a casa mia, dove nessuno può cacciarmi. Non torno per morire, ma per lottare. Prendo tale decisione con serenità, per proteggere la mia nuova famiglia, per fare sapere all’opinione pubblica l’inefficienza di persone e funzionari istituzionali che hanno l’ardire di gestire con assoluta incompetenza e totale disinteressamento situazioni delicatissime”.

Quella sera a Cinisi, avremmo dovuto capirlo. Dagli sguardi, dalle mani, dalle frasi smozzicate. Avremmo dovuto capire l’epologo inevitabile a casa di Peppino e di Felicia. Anche loro uccisi, in modo diverso, dall’assenza di memoria. R.P.

Pubblicato il

05 Ottobre 2009, 18:12

Condividi sui social